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Il Governo italiano e il mandato di arresto per Netanyahu: reazioni ambigue, dettate da interessi economici (Aurelio Tarquini)


La Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato di arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant, accusandoli di crimini di guerra e contro l’umanità. La decisione ha suscitato reazioni diverse a livello internazionale, ma in Italia il governo ha assunto una posizione incerta, caratterizzata da ambiguità e retorica.

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha dichiarato:
“Noi sosteniamo la CPI ricordando sempre che la Corte deve svolgere un ruolo giuridico e non politico. Valuteremo insieme ai nostri alleati cosa fare e come interpretare questa decisione e come comportarci insieme su questa vicenda.”
Questa affermazione, sebbene formale, nasconde il tentativo di evitare una presa di posizione chiara. La CPI non lascia margine di interpretazione: gli Stati membri dello Statuto di Roma sono obbligati a eseguire i mandati d’arresto.

Su questo punto è intervenuta sul social X Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, con un commento netto: “Non c’è nulla da ‘interpretare’ nella decisione della Corte. Netanyahu, Gallant e Deif vanno arrestati se entrano in qualunque Paese firmatario dello Statuto di Roma, Italia compresa. A meno che non si voglia smantellare del tutto il sistema di diritto internazionale su cui si è fondata la nostra convivenza pacifica dal dopoguerra.”
Le parole di Albanese evidenziano come la decisione della CPI sia giuridica, non politica, smentendo la retorica usata dal governo italiano. Anche Josep Borrell, Alto Rappresentante dell’UE, ha ribadito che la decisione della CPI è giuridica, quindi va rispettata e applicata.

La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha dichiarato: “Approfondirò in questi giorni le motivazioni che hanno portato alla sentenza della Corte Penale Internazionale. Motivazioni che dovrebbero essere sempre oggettive e non di natura politica. Un punto resta fermo per questo Governo: non ci può essere una equivalenza tra le responsabilità dello Stato di Israele e l’organizzazione terroristica Hamas.”
Questa posizione riflette l’intenzione di prendere tempo, ma ignora che il mandato d’arresto è giuridicamente vincolante per tutti gli Stati membri della CPI.

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Anche in questo caso la Meloni evidenzia un uso opportunista della politica e l’abitudine a cambiare radicalmente le proprie posizioni politiche a seconda dei ruoli e delle convenienze.
Prima di assumere la carica di Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ha espresso posizioni critiche nei confronti di Israele in diverse occasioni. Ad esempio, nel 2014, durante il conflitto tra Israele e Hamas, Meloni ha condannato l’uso della forza da parte di Israele, definendolo “sproporzionato” e sottolineando la necessità di proteggere i civili palestinesi. Inoltre, ha partecipato a manifestazioni a favore della Palestina, esprimendo solidarietà al popolo palestinese e criticando le politiche israeliane nei territori occupati. Ora, afferma l’esatto contrario.

Il ministro della Difesa Guido Crosetto, sembra assumere posizioni più prudenti e ragionate cercando di differenziarsi dalla difesa del regime genocidario di Tel Aviv assunta dalla premier Meloni. Pur criticando la CPI, ha riconosciuto: “Aderendo alla Corte penale internazionale, se venissero in Italia Netanyahu e Gallant dovremmo arrestarli.”
Il ministro delle infrastrutture e vicepremier Matteo Salvini, leader della Lega, ha invece adottato una posizione apertamente favorevole a Netanyahu, affermando che sarebbe “benvenuto in Italia” e insinuando che il mandato della CPI sia stato influenzato da Paesi islamici. Tali dichiarazioni, oltre a essere prive di fondamento, evidenziano un tentativo di spostare il dibattito su un piano ideologico e islamofobico.

Mentre l’Italia si dimostra incerta, altri Paesi occidentali hanno assunto posizioni chiare. I governi di Paesi Bassi, Spagna, Belgio e Canada hanno dichiarato che rispetteranno il mandato della CPI. Questa coerenza evidenzia il contrasto con l’approccio italiano, che appare dettato più da interessi economici che da principi giuridici.

Dal 2020 al 2024, l’Italia ha esportato armi a Israele per milioni di euro. Solo nel dicembre 2023, durante i bombardamenti su Gaza, l’Italia ha venduto munizioni per un valore di 1,3 milioni di euro. Questi dati parziali, uniti al segreto di Stato imposto su alcune esportazioni, sollevano dubbi sulla trasparenza e sull’aderenza alla legge 185/90, che vieta esportazioni militari verso Paesi coinvolti in conflitti.

Le vendite milonarie di armi a Israele sono collegate ai dubbi di conflitto di interessi dell’attuale ministro della difesa. La nomina di Guido Crosetto a Ministro della Difesa ha attirato critiche perché, da questa posizione, Crosetto è direttamente coinvolto nella definizione delle politiche di difesa e nell’autorizzazione di esportazioni di armamenti, incluso verso Paesi coinvolti in conflitti, come Israele e l’Ucraina.

Forse questo spiega le prudenti parole di Crosetto sul mandato d’arresto emesso dalla CPI. A differenza di altri leader dell’attuale governo Crosetto è più riflessivo e attento a non compromettersi con dichiarazioni non ponderate e contraddittorie con dichiarazioni fatte in passato sullo stesso argomento.

Tuttavia l’ombra del conflitto di interessi rimane. In passato, Crosetto è stato presidente dell’AIAD (Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza), rappresentando gli interessi dell’industria bellica nazionale, tra cui il colosso Leonardo. Questo ruolo lo ha reso parte integrante delle dinamiche commerciali e strategiche del comparto militare italiano, settore che ora supervisiona come ministro.
La discrepanza tra il suo passato come rappresentante di interessi industriali e l’attuale ruolo di garante della sicurezza nazionale solleva dubbi sull’imparzialità delle decisioni ministeriali, in particolare sull’applicazione del segreto di Stato e sulla gestione delle commesse belliche.

Uno degli esempi più eclatanti che rafforzano il dubbio di conflitto di interessi è l’approvazione del governo Meloni nel luglio 2024, per l’acquisto di 24 caccia bombardieri Eurofighter Typhoon per una spesa di 7 miliardi di euro, con Leonardo come parte del consorzio europeo responsabile della produzione. Nel 2014 Crosetto, oltre a ricoprire la carica di presidente dell’AIAD, aveva un contratto di Senior Advisor con la Leonardo.

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La posizione del governo italiano sul mandato d’arresto per Netanyahu dimostra un’incapacità di applicare la giustizia internazionale in modo imparziale. La CPI non lascia spazio a interpretazioni, ma richiede azioni concrete.
Procrastinare o cercare di adattare la giustizia agli interessi economici e politici mina la credibilità dell’Italia e il rispetto dello Stato di diritto. La giustizia non può essere un’opzione selezionabile; deve essere rispettata, senza ambiguità.

Aurelio Tarquini



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