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Renato Balestra: sculture, arazzi, mobili. All’asta gli arredi e il lusso dello stilista


diCandida Morvillo

La principessa Pignatelli: «Curava ogni dettaglio. Era curioso, aveva cuore e sapeva conversare su qualunque argomento»

Vanno all’asta gli arredi della casa che fu di Renato Balestra: la specchiera ottocentesca che rifletteva la basilica di San Pietro come se fosse in salotto e in cui si specchiava Imelda Marcos ogni volta che passava da Roma; l’arazzo Aubusson francese del ‘700, di quasi cinque metri per tre, dove i mantelli dei dignitari di Alessandro Magno sembrano intessuti del blu Balestra che fu il marchio dello stilista; le sculture sacre acquistate in Thailandia dove Renato era di casa, prediletto dalla regina Sirikit al punto che nel ’75 la stampa rosa favoleggiava di imminenti nozze con la principessa reale, a cui invece Balestra si limitò a disegnare l’abito da sposa per un matrimonio che non fu il suo; vanno all’asta la cornice d’argento con la foto di Julia Roberts che indossa un suo abito e quella in cui lui sorride all’obiettivo con Michael Jackson.

Lo stilista è mancato il 26 novembre 2022 a 98 anni, lasciando due figlie, un archivio di bozzetti d’alta moda dichiarato dal Mibac di «notevole interesse storico» e novanta mobili e opere d’arte, ora all’incanto, che raccontano un favoloso mondo che non c’è più, ma di cui sarà possibile aggiudicarsi un pezzetto da Wannenes, a Genova, il 28 e il 29 novembre. I lotti esposti da domenica 24 evocano un mondo eclettico di internazionalità e ospitalità fuori dall’ordinario: «Da lui incontravi sempre amici internazionali, una rarità per i salotti romani, dove tutti conoscono tutti», racconta la principessa Marina Pignatelli, amica di una vita del couturier. «Ho conosciuto e fotografato tanti stilisti, ma nessuno come Renato diventava anche amico sincero dei suoi clienti, perché era simpatico, era curioso, aveva cuore e sapeva conversare su qualunque argomento. Era amico di Imelda, anzitutto, con la quale ha fatto anche viaggi, di Nancy Reagan, di star come Joan Collins, che poi rivedeva a New York o a Los Angeles. Renato viveva in una dimensione lunare, potevi incontrarlo a una caccia a Houston, in Texas, con la mitica Lynn Wyatt, massima socialite e filantropa americana, o a Capodanno a Caracas dai collezionisti Elizabeth e Alfredo Beracasa nella loro celebre villa disegnata da Gio Ponti. E, quando questi amici arrivavano a Roma, lui apriva il salotto, la terrazza e dava cene leggendarie, in piedi, per tantissime persone, o per dodici, nella sala da pranzo rossa dove ogni dettaglio era perfetto, inclusa la cucina del cuoco che non l’abbandonerà per trent’anni e che era fusion prima che la parola diventasse di moda».




















































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Nel superattico di via XX Settembre in cui Balestra si trasferì negli anni ’80, si mescolano opere d’arte e pezzi d’antiquariato cinesi, giapponesi, europei, filippini, sudamericani. «Ciò che colpisce», dice Guido Wannenes, amministratore delegato della casa d’aste, «sono l’armonia e la simmetria con cui era stato costruito ogni angolo, con richiami e colori che dialogavano fra loro nonostante le provenienze più disparate, come a comporre il concerto di una grande orchestra».

Varrebbe la pena comprare insieme pezzi che a vederli in foto sembrano inseparabili come lo scrittoio a ribalta in lacca rossa orientale e la tela di un gentiluomo settecentesco con la marsina dello stesso rosso o il tavolo rotondo Impero dalle gambe dorate con figure zoomorfe e alate, sul quale Balestra aveva poggiato un grande vaso in bronzo con putti e a cui aveva accostato due poltrone neoclassiche, creando in quell’ingresso un’immediata sensazione di accoglienza. I lotti sono tutti senza stima e a offerta libera, «perché la provenienza conferisce un valore che va al di là di quello intrinseco», spiega Wannenes.

Fra quegli oggetti collezionati nel corso di una vita di viaggi, collezionando insieme premi e riconoscimenti, Renato Balestra ha creato fino alla fine. Ricorda Marina Pignatelli: «Negli ultimi tempi, sofferente e malato, non riusciva ad andare in atelier ma continuava a lavorare. Una sera, vado a trovarlo, lo trovo dispiaciuto perché non poteva più fare ginnastica come ha fatto ogni giorno per tutta la vita. Però, mi racconta che gli avevano chiesto i costumi di un’opera lirica e, tutto contento, mi fa: non mi manca né la voglia né la possibilità di farli. Ha preso un pezzo di carta e ha disegnato un abito pazzesco».

24 novembre 2024

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