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Francesca Colombo, la “custode” della Biblioteca degli alberi. «Vi racconto la mia ricetta per la felicità»


La direttrice generale di BAM, la Biblioteca degli Alberi Milano, si racconta a Startupitalia: «L’ingegneria mi ha dato la forma mentis giusta, il metodo e la capacità di tenere insieme tante variabili. Oggi aiuto anche giovani startupper a conquistarsi un loro spazio. L’iniziativa più bella che ho fatto? Ballare lo swing all’aeroporto di Linate nel viavai di passeggeri»

Cresciuta a musica e arte, Francesca Colombo, attuale direttrice generale e culturale di BAM, la Biblioteca degli Alberi Milano, da anni si occupa di management culturale, una disciplina che quando lei ha iniziato a studiare, in Italia era semi sconosciuta. Laureata in Ingegneria Gestionale al Politecnico di Milano e diplomata in Pianoforte al conservatorio Verdi, Francesca ha iniziato a lavorare come manager culturale nel ’96. «Mentre ero in Erasmus a Monaco, in Germania, un professore mi chiese: Perchè non inizi a fare l’”ingegnere della cultura”?. Da quella proposta nacque prima la mia tesi, una materia che in nessuna università milanese si studiava, poi la mia carriera. Non è stato semplice mettere insieme quei mille pezzetti che non possono mancare in un manager culturale, ma ci sono riuscita e sono sempre stata riconoscente verso chi ho incontrato nel mio cammino e grazie al quale tutto ha avuto inizio», racconta a StartupItalia. Francesca è stata direttrice generale della Fondazione MAST (Bologna), co-fondatrice e segretaria generale di MITO, direttrice artistica del Festival Stradivari (Cremona), sovrintendente del Teatro dell’Opera di Firenze, responsabile del programma cultura di Milano Expo 2015 e delle coproduzioni artistiche del Teatro alla Scala. Nel panorama italiano è stata una pioniera, in un lavoro che, nel corso del tempo, ha riscosso sempre più successo. Nel 2011 è stata nominata Young Global Leader ed Expert in Arts&Culture del World Economic Forum. Un percorso lungo e ibrido che l’ha portata ad assumere oggi l’incarico al BAM ma non solo. Francesca fa parte anche del consiglio di amministrazione di prestigiose istituzioni culturali-sociali-educative. Tra queste: Pinacoteca di Brera, Fondazione Milano per la Scala, Comitato fundraising San Patrignano, Palazzo Reale di Genova, e tiene lezioni in diverse università italiane. Ma come è iniziato questo lungo cammino da “ingegnere della cultura”? E quali difficoltà ha riscontrato in questi 30 anni?

Francesca Colombo

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Francesca, da ingegnere gestionale a culturale, come è avvenuto questo passaggio?
Ho studiato Ingegneria al Politecnico di Milano e pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi. La matematica, la scienza e la musica sono passioni che coltivo da sempre e che ho cercato di far convergere nel mio lavoro. Mentre mi trovavo in Erasmus a Monaco, in Germania, un professore mi spinse a intraprendere il percorso dell’ingegneria applicata alla cultura. Mi incuriosiva e mi sono detta: “Proviamoci”. Non avrei mai pensato che quello sarebbe diventato il lavoro della mia vita.

Chi sono stati i tuoi mentori?
Ce ne sono stati tanti: dalla mia famiglia alla rete degli Young Global Leader del World Economic Forum, dal professore tedesco che mi ha dato quell’input grazie al quale è iniziata la mia carriera all’ex rettore del Politecnico di Milano, Adriano De Maio, a cui sono molto grata e che ha subito accolto la mia proposta e mi ha permesso di laurearmi in Ingegneria sul Management culturale nel ’96. Questo passaggio ha spalancato le porte del mio percorso professionale. L’ingegneria mi ha dato la forma mentis giusta, il metodo e la capacità di tenere insieme tante variabili come i vincoli e le risorse tenendo sempre a mente l’obiettivo. Lo studio della musica ha alimentato la mia creatività. Il mio primo lavoro è stato al Teatro alla Scala, dove sono rimasta 13 anni. Per me è stata un’esperienza bellissima e molto formativa all’interno di un palazzo prestigioso e con una storia gloriosa.

Photo Credit: Carlotta Coppo

Poi che cosa è successo?
Mentre ero alla Scala facevo volontariato al Conservatorio dove ho iniziato a dare una mano alla creazione di iniziative culturali. Dalla nascita di un’orchestra con i maestri e gli allievi alla comunicazione, mi sono occupata a 360 gradi di alcuni incontri e momenti musicali. In quel periodo, ho capito che a Milano mancava un’iniziativa musicale di profilo internazionale importante e con Francesco Micheli ed Enzo Restagno abbiamo dato vita al Festival MITO SettembreMusica che ha unito Milano e Torino nel segno della cultura creando una nuova sinergia tra le città. Si trattava di un’unione che i due sindaci, Moratti e Chiamparino, hanno sostenuto con coraggio, creando un’innovativa collaborazione tra il settore pubblico e quello privato con 250 concerti nel mese di settembre nelle due città che raggiungevano anche i quartieri più periferici.

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Quali, secondo te, sono state le carte vincenti?
Aver messo in piedi un festival all’avanguardia, diffuso, innovativo nei format e nella modalità di comunicazione, con concerti di musica classica capaci di richiamare oltre 10mila persone. È stato un caso di successo che ha accompagnato Milano fino all’Expo 2015, con parate internazionali e momenti che ricordo con un pizzico di orgoglio come la festa di chiusura di MITO 2009, dove si ballava lo swing dentro l’aeroporto di Linate in funzione. Un successo che sento il dovere di condividere con tutto il team di MITO, prevalentemente femminile.

Insomma, sei soddisfatta del tuo percorso sino a oggi?
Assolutamente, il mio sogno era diventare sovrintendente di un teatro d’opera, e non immaginavo di raggiungerlo a soli 36 anni. È stato complesso soprattutto per la difficile situazione finanziaria ereditata, ci sono stati tanti momenti dove rimboccarsi le maniche, tante idee e tante criticità ma ne è valsa la pena. Sono stati anni fantastici artisticamente, abbiamo inaugurato un nuovo Teatro dell’Opera a Firenze e vinto una tournéé nel 2011 per i 150 anni dell’Unità di Italia, portando 40 opere e concerti in tutto il mondo sotto la direzione di Zubin Mehta. Questo ha significato esportare nel mondo anche il made in Italy e i nostri valori.

francesca colombo2

A un certo punto ti sei dedicata alle startup..
Si, tante sono state le startup culturali nella mia carriera, sia per imprenditori che in progetti ibridi pubblico-privati, e il mio spirito imprenditoriale unito alla capacità manageriali sono stati fondamentali. A Cremona, insieme al museo del Violino e al Cavalier Arvedi mi sono impegnata molto per lo Stradivari Festival, non solo per valorizzare la collezione straordinaria di Stradivari ma anche per unire la musica contemporanea a quella classica e coinvolgere il territorio; ma anche il MAST di Bologna con Isabella Seragnoli, MITO e molte altre iniziative. Nel 2017, mentre mi ero presa un anno sabbatico, che mi è stato utile per ricaricare le pile, mi hanno proposto di seguire la startup come direttore di BAM, un progetto di partnership pubblico-privato tra Comune di Milano, COIMA e Fondazione Riccardo Catella per la gestione di uno spazio pubblico. Inizialmente, mi sono occupata di pensare ad un modello, definirne la missione, i valori  e il brand di questo luogo e poi il suo business model. Mi è sempre piaciuto coinvolgere le persone giovani, aiutarle e dargli fiducia e spazio nei processi imprenditoriali perché così facendo, oltre alla loro professionalità, l’entusiasmo e la passione sono garantiti!

Che consigli daresti a una donna che volesse intraprendere il tuo stesso percorso?
Secondo me, le caratteristiche essenziali che si devono avere in questa professione sono la capacità di coniugare creatività e managerialità. Avere sempre rispetto del contenuto culturale, che rimane la missione di ogni istituzione culturale, unitamente alla capacità di voler essere contemporanei e partecipare con il proprio linguaggio alle sfide globali. In quanto donne, continuare a coltivare le nostre doti naturali e mantenere e valorizzare le soft skills è fondamentale, e non solo per il manager culturale. Tra le competenze “soft” più importanti ci metto l’ascolto, la conoscenza, la visione e l’empatia, oltre alla capacità di sapere dove andare ma di non andarci da solo, portando con sé la propria personalità ma lasciando anche voce e spazio al team.





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