La sentenza n. 42819, depositata ieri dalla Cassazione penale, prova così a rispondere ai seguenti quesiti: se ai fini della configurabilità del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, sia necessario accertare l’utilizzo di queste da parte del destinatario; se possa ritenersi sussistente il fine di evadere le imposte quando il soggetto emittente le fatture persegua un proprio interesse, diverso da quello di far evadere il fisco a terzi, ma rilasci le stesse nella consapevolezza che il destinatario, nel momento in cui le riceve, programma concretamente di utilizzarle per conseguire un’indebita evasione delle imposte dirette o dell’IVA.
La prima questione ha risposta negativa, nel senso che, perché possa ritenersi integrato il reato di cui all’art. 8 del DLgs. 74/2000, non è necessario l’utilizzo delle fatture per operazioni inesistenti da parte del destinatario.
In effetti, secondo un principio ripetutamente affermato in giurisprudenza, l’evasione d’imposta non è elemento costitutivo del delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ma caratterizza il dolo specifico normativamente richiesto per la punibilità dell’agente, essendo necessario che l’emittente delle fatture si proponga il fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ma non anche che il terzo realizzi effettivamente l’illecito intento (cfr. Cass. n. 31142/2022).
Tale lettura appare coerente con il dato normativo, in quanto il citato art. 8 non solo non prevede come requisito l’evasione di imposta, ma, anzi, dispone che la condotta di emissione sia realizzata “al fine di consentire a terzi l’evasione”. Secondo la Cassazione, “il termine «consentire», attesa la sua accezione di «permettere, concedere, accordare», evoca, da un punto di vista semantico, non l’indefettibilità del risultato finale di evasione, ma la possibilità del conseguimento di tale risultato”.
La seconda questione attiene alla determinazione del contenuto del dolo specifico del reato in esame. Nel caso in oggetto, infatti, la difesa contestava la configurabilità della finalità di evadere o far evadere le imposte, in quanto i documenti contabili erano stati rilasciati per far ottenere alla società emittente fidi bancari, o fidi bancari di maggiore importo rispetto a quelli altrimenti concessi, e alle società riceventi liquidità per pagare il personale “in nero”. In concreto, una srl emetteva fatture relative a operazioni inesistenti, e contestualmente erogava denaro contante, poi restituito dalle ditte destinatarie con bonifici bancari per un importo maggiore di quello corrisposto in forma “liquida”, determinato in considerazione del risparmio che queste ultime avrebbero potuto conseguire deducendo l’IVA “scaricabile” mediante l’utilizzo di tali fatture.
La sentenza in commento ricorda in proposito che, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza, per la configurabilità del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti non è necessario, sotto il profilo soggettivo, che il fine di favorire l’evasione fiscale di terzi attraverso l’utilizzo delle fatture emesse sia esclusivo, essendo integrato pure quando la condotta sia commessa per conseguire anche un concorrente profitto personale (cfr., tra le tante, Cass. n. 39316/2019).
Viene poi rilevato che il dolo specifico di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto o di consentire l’evasione fiscale di terzi non si identifica nell’interesse o movente, quale causa diretta che abbia eventualmente spinto l’agente a commettere il reato, ma si riferisce allo scopo della condotta.
I giudici di legittimità concludono, dunque, affermando che la consapevolezza, nel soggetto emittente fatture per operazioni inesistenti, dell’alta probabilità dell’uso delle stesse da parte di coloro che le ricevono al fine di evadere le imposte, implica, nel medesimo, la consapevolezza e volontà di realizzare una condotta finalizzata a consentire a questi l’evasione. Ciò in quanto, chi forma una fattura relativa ad operazioni inesistenti e poi la consegna ad altro soggetto, prevedendone come certo o altamente probabile il successivo utilizzo da parte del medesimo a fine di risparmio delle imposte, “vuole” mettere a disposizione del destinatario un “mezzo” fisiologicamente funzionale ad “abbatterne” il carico fiscale, nella consapevolezza della concreta prospettiva di tale futuro utilizzo, e, quindi, “vuole” emettere il documento mendace (anche) al fine di “permettere” a terzi l’evasione.
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