Ci sono voluti più di dieci anni perché F. riuscisse a raccontare la sua storia. Una storia affollata da tutte le violenze di genere possibili e per le quali, per molto tempo, le sono mancate le parole.
Per nominare le continue mortificazioni, le minacce, le aggressioni fisiche, le costanti sopraffazioni, il controllo, la videosorveglianza a cui è stata sottoposta: «L’impossibilità di agire liberamente in ogni attimo della mia esistenza, la paura di uscire di casa, lo stato di allerta in cui ancora oggi io e mia figlia viviamo». Per nominare la violenza economica con cui l’ex compagno continua a perseguitarla, anche ora che ha finalmente lasciato la casa in cui vivevano insieme ed è stato condannato a 2 anni e 8 mesi per maltrattamenti in famiglia.
La violenza economica è forse la forma di violenza maschile contro le donne meno immediata da riconoscere e da comprendere nelle sue conseguenze e ricadute. Ma, con quella psicologica, verbale, sessuale o fisica è esplicitamente citata all’articolo 3 della cosiddetta Convenzione di Istanbul, il trattato che l’Italia ha ratificato nel 2013 e che è anche il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per la prevenzione e il contrasto di questo fenomeno strutturale e trasversale, che non ha classe, età , o etnia.
La violenza economica è una forma di abuso in cui il controllo delle risorse economiche viene utilizzato come mezzo per esercitare potere e controllo all’interno di una relazione. Viene agita attraverso il controllo del reddito, il sabotaggio e lo sfruttamento economico, o la forzatura del debito.
Viene agita quando si monitorano costantemente come vengono spesi i soldi, quando si pretende di darle l’autorizzazione prima di qualsiasi spesa, quando vengono prese decisioni finanziarie importanti in autonomia e senza consenso, quando viene impedito alla vittima di avere o accedere a un conto corrente, di cercare, ottenere o mantenere un lavoro o un percorso di studi, quando si usano le sue risorse economiche e finanziarie a proprio vantaggio o quando si pretende che lavori all’interno di aziende a conduzione familiare senza alcun riconoscimento e tutela.
Viene agita, ancora, quando si costringere la vittima ad accumulare debiti, a fare prestiti o acquisti a credito contro la sua volontà , quando la si forza a firmare assegni scoperti, a fare da prestanome, a sottoscrivere fideiussioni. La violenza economica spesso si verifica insieme ad altre forme di abuso, può continuare o iniziare dopo la separazione, ed è anzi la forma che più di tutte perdura nel tempo.
La relazione di F. e R. era iniziata nel 2012 quando, dopo le rispettive separazioni, R. si era trasferito a casa di lei, da dove, dopo più di dieci anni di convivenza, vissuta tra violenze e maltrattamenti, si è allontanato nel settembre del 2023. Le umiliazioni, i maltrattamenti, le aggressioni fisiche, l’uso delle telecamere per controllarla iniziarono quasi subito.
«Nell’autunno del 2017 ho trovato lavoro come dipendente part-time. Lui era geloso del proprietario del negozio, mi accusava di avere una relazione con lui. Alla fine mi sono lasciata convincere a lasciare il lavoro e ad aprire una mia attività , che ho inaugurato nel maggio del 2019. E che lui ha cominciato da subito a controllare e soprattutto ad usare come appoggio per le proprie attività ».
R. aveva una propria ditta, già piena di debiti, di cui aveva trasferito la sede nell’indirizzo di casa di F. Nel nuovo negozio aveva immediatamente installato delle telecamere «con il pretesto della mia sicurezza: mi scriveva messaggi in continuazione, mi mandava degli screenshot per lamentare i miei comportamenti o quelli delle persone che entravano sia come clienti, sia come addetti alle consegne. In qualche occasione si presentava per intimidirmi. E tutto questo mi impediva di portare avanti il mio lavoro generandomi costante paura e ansia rispetto ad ogni mio comportamento». Racconta, F., che nel 2022 si era iscritta a un concorso pubblico e che la sera prima dell’esame lui l’aveva aggredita fisicamente: «Ho vomitato tutta la notte e il giorno dopo sono stata costretta a mandare un certificato medico perché non ero in grado di presentarmi».
Spesso è accaduto che lui le togliesse i mezzi per poter lavorare, il telefono o le chiavi della macchina, spesso le impediva con insulti e a volte anche gettandole dell’acqua gelida addosso, di dormire in modo che non fosse nelle condizioni di presentarsi agli appuntamenti. Dopo essere uscito dalla loro casa comune ha smesso di pagare le bollette di alcune utenze a lui intestate, non mettendo F. nelle condizioni di poter provvedere.
Soprattutto ha usato la società di F. per svolgere «i propri lavori e i propri affari» le cui situazioni pendenti sono ricadute e stanno continuando a ricadere su F.: «Mi sono ritrovata, dopo l’interruzione della relazione, a dover affrontare una situazione debitoria lasciatami in eredità da R., che si è reso sempre latitante e che non ha mai dimostrato di volermi sollevare da tali oneri. La situazione debitoria che mi ha creato mi impedisce, al momento, anche di poter procedere alla liquidazione della mia società . Sto continuando a pagare sanzioni, assicurazioni, cartelle esattoriali, fatture, finanziamenti attivati sulla mia carta di credito di cose che non sono nella mia materiale disponibilità ».
Stiamo parlando, precisa F. di somme ingenti: «L’ultima fattura che ho ricevuto è superiore ai 22 mila euro» per il cui saldo, del tutto indebito, lui le ha addirittura notificato un decreto ingiuntivo. «Non solo ho paura di uscire di casa e di andare a lavoro perché lui continua a perseguitarmi e nei suoi confronti non è stata disposta alcuna misura cautelare, non solo temo per l’incolumità mia e di mia figlia, non solo entrambe abbiamo dovuto cambiare le nostre abitudini e adottare una serie di strategie per tutelarci, ma continuo ad essere perseguitata dai suoi debiti: sto continuando a rispondere di qualcosa che non mi riguarda né è a mia disposizione».
Nei confronti di R. è già stata pronunciata una sentenza di condanna per maltrattamenti in famiglia (attualmente in attesa del giudizio di appello). È pendente un procedimento per appropriazione indebita che l’avvocata di F. sta cercando di far ricondurre nell’ambito di un altro procedimento penale pendente, quello per atti persecutori.
Nel frattempo F., sulla cui salute fisica e mentale questi dieci anni di abusi hanno avuto gravissime ricadute, non ha nemmeno i soldi per pagarsi un sostegno né le reale possibilità di costruire un progetto di vita indipendente, esponendola a una forma di violenza che sta perdurando nel tempo. E che la lascia intrappolata in una relazione dalla quale lei aveva pensato di poter uscire.
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