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Food e Magia, storie di cibo e incanti in Basilicata


21 novembre 2024 | 19:00 | C. S.

Un racconto costruito in 10 anni di ricerca e raccolta di testimonianze sul campo, cercando e indagando la costellazione di significati racchiusi in un “unicum”: l’offerta simbolica che si gusta, insieme, nei giorni di festa. E’ il piatto della tradizione lucana in chiave magica e simbolica, e non solo, quello che l’autrice, Carmensita Bellettieri, vuole declinare, nella preziosa rilegatura con cofanetto di “Food e Magia, storie di cibo e incanti in Basilicata”, edito da Le penseur e cofinanziato dal Consiglio regionale di Basilicata. Elemento che arricchisce l’opera è la grande quantità di immagini di Raffaele Cutolo, a corredo e testimonianza di quanto “narrato”. Sì perché, anche se con finalità divulgative e taglio storico-antropologico, l’opera è concepita come una narrazione di 4 personaggi lucani incantatori: il Cucibocca di Montescaglioso, il Maggio di Accettura, la Grande Madre e la Mascìara.

Può il cibo essere un ponte tra cielo e terra? In realtà, lo è sempre stato. Fin da quando l’uomo ha pregato bruciando offerte, il cibo è stata l’oblazione per eccellenza. Si offriva in terra il frutto migliore del raccolto per chiedere al cielo la pioggia, la fine di una pestilenza o la nascita di un figlio… insomma qualunque desiderio che dovesse superare il confine terrestre e salire verso le stelle, proprio come faceva il fumo. Così fu e così ancora è in terra di Basilicata. Strato su strato, il popolo lucano ha sincretizzato le antiche magie e gli arcaici rituali propiziatori in una sintesi simbolica che è il piatto tradizionale lucano. 

IL CIBO LUCANO COME LINGUAGGIO DEL CALENDARIO NATURALE

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Santo importante, gastronomia rilevante: i piatti tipici serviti per le grandi feste hanno un “abito” gastronomico e un “corpo” sacro.  Tradizioni culinarie come il piccilatiedd (Natale), la scarcedda (Pasqua) o la rappasciola (S. Lucia) racchiudono una costellazione di riti, credenze e “magie”, ovvero gesti apotropaici, che aiutano a “masticare” la vita quando si ha paura della morte. Nei momenti “astronomici” di crisi, l’uomo primitivo aveva paura che tutto potesse “finire” o, al contrario, sentiva il bisogno di partecipare a un nuovo “inizio”. Durante il Solstizio d’Inverno e in quello d’Estate, o durante l’Equinozio di Primavera e quello d’Autunno, in particolar modo, ma anche in altre fasi astronomiche che influivano sul calendario agricolo, si aveva necessità dell’intervento divino per propiziare semina, mietitura o un buon raccolto. Non si può parlare di cibo tradizionale lucano, dunque, senza parlare di Carnevali antropologici, matrimoni arborei, “passione del grano”, battesimo delle bambole… insomma di tutti i riti e i miti che ammantano questa regione di arcaico incantamento. Non si può parlare di food in Basilicata senza raccontare anche la magia di questa antica e selvaggia terra. “Food e magia” appunto. L’assonanza col demartiniano “Sud e magia” non è casuale!

La glottologa e dialettologa Patrizia Del Puente scrive nell’introduzione all’opera: «Definire il libro di Carmensita Bellettieri originale è riduttivo. Siamo di fronte a un testo che coniuga in maniera efficace e mai pesante cultura antica, storia, lingua, gastronomia, tradizioni e riti… Insomma, un lavoro completo e accattivante che ci porta volta volta in un mondo magico, ma ci riporta, subito dopo, nel concreto del cibo, coniugando le due cose in maniera lieve». La concretezza del cibo è la stessa materialità delle mani che lo creano, lo trasformano, lo offrono come supremo emblema d’amore. Mani che, da sempre e spesso ancor oggi, sono femminili e abituate a usare il “fuoco” come un crogiolo alchemico, cosa ben sottolineata dalla postfazione dell’antropologa del cibo e chef Anna Maria Pellegrino: «Streghe e massaie: due modi simbolici di fare cucina. Del resto, la cottura è una misteriosa alchimia: in cucina viene infatti elaborato un pensiero e la gastronomia forse nasce proprio da qui. Nell’immaginario popolare, lontano dalle meraviglie delle corti principesche, la cucina è un luogo magico e misterioso dove il cibo si trasforma, muta di aspetto, di colore e di sapore. La mutazione del cibo da nutrimento a godimento: ecco la vera pietra filosofale!»

IL CIBO LUCANO COME PONTE TRA CIELO E TERRA

E quale più antica trasformazione della fermentazione? Con questo processo la Natura trasmuta la farina in pane, il latte in formaggio, l’orzo in birra e l’uva in vino: la fermentazione attraverso la morte genera una nuova vita. Una vita che nutre altre vite. Il “nutrimento” per l’anima e il corpo, nucleo essenziale di “Food e Magia”, è stato colto appieno dalle parole di Alessandra Calligari, filosofa e formatrice, quando scrive: «Mi ha colpito, delle pagine di questo libro, il riferimento continuo, pur nella varietà degli esempi e degli aneddoti, a un tema che mi è particolarmente caro: la generatività. La capacità di dare vita, in mille forme diverse; di ideare, progettare, creare, generare, produrre, realizzare. In un intreccio infinito tra sacro e profano, traendo dagli elementi più semplici – terra fuoco aria acqua – innumerevoli stimoli e spunti… Penso al racconto finale di Sophia (un nome, un programma!) che ci porta a concludere il viaggio tra cibo e magia entrando in contatto con il potere del sogno, dell’inconscio che si disvela, al limitare di quella soglia che possiamo, di volta in volta, osservare fermandoci al di qua o varcare andando al di là. Carmensita sembra divertirsi nel prenderci per mano e portarci alla scoperta di misteri che, volendo, possiamo lasciare tali oppure cercare di penetrare. Ci fa da guida e ci lascia liberi di accettare la scommessa dandoci anche dei consigli per approfondire (ricca la sua bibliografia, da classici come Eliade, Guénon o Frazer, a testi specifici sulle tradizioni lucane, gastronomiche e non solo), nel caso fossimo curiosi di saperne di più».

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Si potrebbe quasi concludere che in “Food e Magia. Storie di cibo e incanti in Basilicata” di Carmensita Bellettieri si procede a ritroso, fino a giungere agli ancestrali giorni in cui la Madre Terra era sacra in ogni sua parte e in ogni suo frutto. Quando l’uomo ha dimenticato la santità del pianeta che ci genera e nutre e ha spostato le sue divinità dai boschi o dalle montagne in edifici chiusi e costruiti da egli stesso, ha perso anche quel legame spirituale tra la sua materia e il Cielo. Una spiritualità che, oggi più che mai, cerca veicoli e luoghi in cui il sacro è ancora così “parlante” nella maestosità della Natura – «Del resto, la pregevole opera di Carmensita Bellettieri risponde al meglio alle nuove esigenze di un turismo sempre più attento alle peculiarità dei luoghi, nei quali autenticità, valori ed identità si fondono per creare un unicum irripetibile. La relazione tra riti ancestrali e cibo, nella quale il simbolismo diventa l’elemento cardine, racconta di un rapporto atavico con la terra madre, un legame che, nonostante l’imporsi di fenomeni globali, non ha perso il suo fascino», chiosa Carmine Cicala, Presidente del consiglio della Regione Basilicata.

Il cuore più profondo della Basilicata, come ogni antica geografia terrestre, racconta di desideri, paure e sogni in un distillato di “magia” che si deve conoscere, narrare e mangiare… e anche “guardare”. Indispensabile latore di senso e sensi è il contributo fotografico di Raffaele Cutolo, nell’opera anche documento di un viaggio durato diversi anni per un’osservazione sul campo e molto ravvicinata di volti, paesaggi, maschere e piatti tradizionali. Infine, consegnato ai lettori grazie al coraggio, alla visionarietà e, non ultima, alla lucanità della casa editrice Le penseur.



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