«Quando sono arrivato pensavo che mi sarei fermato soltanto pochi mesi, invece sono lì da quarantasei anni: quindi attenti, quando andate alla Sagrada Familia…». La Sala Regia del Palazzo Apostolico, fino a quel momento educatamente silenziosa, viene attraversata da una risata quando lo scultore Etsuro Sotoo, l’uomo che da più di quarant’anni porta avanti il lavoro di Antoni Gaudí nella grandiosa Basilica di Barcellona, racconta di come è successo che lui, giapponese, già buddista e scintoista, sia finito a interrogare le pietre che compongono questo meraviglioso pezzo di Medioevo iniziato nel 1882 e ancora oggi non terminato.
Il Premio Ratzinger 2024
È venerdì pomeriggio, e in Vaticano la Fondazione intitolata a Joseph Ratzinger-Benedetto XVI consegna il premio intitolato al Papa venuto dalla Germania a Etsuro Sotoo e a Cyril O’Regan, professore irlandese di Teologia sistematica presso la University of Notre Dame. Il salone è gremito di cardinali, ambasciatori, professori, giovani sacerdoti italiani e stranieri, studenti dell’Università di O’Regan, giornalisti, amici ed estimatori di Benedetto XVI. Si rivede anche monsignor Georg Gänswein, oggi nunzio apostolico in Lituania, Estonia e Lettonia, e per tanti anni prefetto della Casa Pontificia e segretario particolare del predecessore di papa Francesco.
Il cerimoniere è padre Federico Lombardi, che introduce i premiati e gli interventi di monsignor Salvatore Fisichella e del cardinale Gianfranco Ravasi, che hanno il compito di presentare rispettivamente O’Regan e Sotoo al pubblico.
Cooperatori della Verità
Il perché la Fondazione abbia scelto loro due è spiegato nel discorso conclusivo – non letto ma consegnato ai presenti – del cardinale Pietro Parolin, il quale ha ricordato il motto scelto dal vescovo e Papa Benedetto: “Cooperatores Veritatis”. «Questo rimane il motto di chi dedica la sua vita a far risplendere la verità in tutte le sue forme, con l’intelligenza, la ricerca e l’insegnamento, con la genialità e la fatica dell’espressione artistica, con la testimonianza del suo servizio umano ed ecclesiale. Questo è quindi il motto che caratterizza anche la vita e l’opera dei premiati, e che oggi riaffidiamo loro perché continuino ad esserne testimoni efficaci».
Il Premio Ratzinger a Cyril O’Regan
Nel suo discorso di ringraziamento, il teologo irlandese si è chiesto «se la gratitudine possa essere considerata la disposizione fondamentale del teologo. Il mio amico e collega di lunga data, John Cavadini, nei suoi oltre trent’anni di insegnamento a Notre Dame ha detto a ogni studente universitario che avesse di fronte che esiste una definizione della teologia che sta nascosta in bella vista: essa è imparare come dire “grazie”».
Parlando di Benedetto XVI, ha ricordato come egli dicesse «continuamente grazie per ciò che lui e ogni cristiano hanno ricevuto in dono: per esempio la Scrittura, il credo, la liturgia, i catechismi, i teologi, i martiri e i santi, e naturalmente la Chiesa che è costituita da questi doni e funge da luogo della loro distribuzione. Dovremmo forse aggiungere anche i doni della bellezza, che hanno assunto un’importanza crescente per Ratzinger/Benedetto, come la bellezza incantevole della natura (la Foresta Nera) e quella che si rivela nelle opere d’arte, si tratti di Mozart, Dante o Michelangelo. Sono allo stesso tempo firme distintive di verità e bontà».
«Ancora di più, Ratzinger/Benedetto desiderava condividere l’intuizione che tutte le cose sopra menzionate sono forme di ringraziamento al Dio che ha tanto amato il mondo da inviare suo Figlio, che è l’oggetto inviolabile della nostra preghiera e lode, rendendo entrambe possibili. È vivendo in questo ambiente di riconoscenza che la gratitudine nasce e si approfondisce in noi, diventando così abituale che possiamo arrivare a dire grazie anche nella solitudine, nella sofferenza e nella debolezza. Naturalmente, diventare esperti nella gratitudine significa avvicinarsi alla condizione di essere noi stessi preghiera: questo è il segno del santo».
Il Premio Ratzinger a Etsuro Sotoo
Parlando a braccio ma seguendo il testo del suo discorso scritto, Etsuro Sotoo ha iniziato ricordando a tutti i presenti che in questo momento la Terra, il sistema solare, la nostra galassia e tutto l’universo «viaggiano velocissimo nella stessa direzione… Noi ci dimentichiamo di questo: viaggiamo insieme, andiamo nella stessa direzione». Qualche anno fa Sotoo aveva raccontato di essere venuto in Europa dal Giappone «alla ricerca dell’anima della pietra, là dove è sorta la civiltà della pietra». Folgorato dalla Sagrada Familia, e da quegli enormi blocchi di marmo grezzo ancora da scolpire, Sotoo chiese di poter lavorare nel cantiere come semplice scalpellino.
«Quando ho cominciato a lavorare la pietra, quando ho preso lo scalpello e ho cominciato a scolpire, sapevo che la pietra ha un suo linguaggio, un linguaggio che non ha bisogno di traduzione. La pietra è grande arte o qualcosa di più. L’arte, nella sua forma più pura, è un universo di pietra, fino alla fine dell’universo dove nessuno è andato e non possiamo andare, ma so che la pietra c’è».
Il Portale della Natività e le statue «di pietra viva»
Alle spalle dei relatori, nella maestosa sala vaticana, si vedeva una gigantografia del Portale della Natività della Sagrada Familia: «Forse non c’è esempio migliore del Portale della Natività», ha detto Sotoo, «dove gli angeli musicanti e il coro dei bambini celebrano la nascita di Gesù Bambino. Per me queste sculture non sono solo figure di pietra. Sono un canto alla vita, un tentativo di catturare quei bambini nella pietra come se fossero i miei figli vivi, come se ogni figura stesse per muoversi, ballare o cantare».
Questo è il segreto di Gaudí, ha spiegato lo scultore giapponese, convertitosi al cattolicesimo nel 1991, «egli cercava sempre forme che facessero sembrare la statua di pietra viva, in movimento. Molte persone discutono di arte. L’arte non è tale per la sua antichità, tantomeno per il prezzo che le si attribuisce, ma perché è sempre viva, così che ogni volta che vediamo quadri, leggiamo libri, ascoltiamo musica, sentiamo sempre qualcosa di nuovo: questo è arte. E Gaudí diceva: “La bellezza è lo splendore della verità”. […] Non stiamo semplicemente realizzando una figura e tanto meno un monumento, ma dobbiamo realizzare qualcosa di vero».
«Il Gesù Bambino che è lì non è di pietra, tutti vogliono vederlo come duemila anni fa, là dove davvero esisteva, tutti vogliono esserci, insieme ai Magi, presenti all’evento più importante e magnifico di quel momento. Credo che in quel gesto sia racchiuso il messaggio vivo di Gaudí, il suo desiderio che la Sagrada Familia fosse un luogo d’incontro tra il celeste e l’umano. In quei piccoli dettagli, in quelle espressioni di tenerezza e curiosità, ho voluto lasciare un messaggio a tutti coloro che visiteranno questa chiesa: che l’amore, nella sua forma più pura, è ciò che ci unisce tutti. Questa facciata-pala d’altare, che normalmente si troverebbe all’interno del tempio, è stata posta all’esterno per invitare le persone, siano o non siano interessate; chiama tutti».
«È davvero possibile che un’opera così sia terminata?»
Adesso che «siamo più vicini che mai a vedere la Sagrada Familia completata, mi chiedo: anche quando il progetto architettonico verrà portato a termine, è davvero possibile che un’opera come questa sia terminata? Si può dire completato qualcosa che sta crescendo? La Sagrada Familia non è solo una costruzione; è un simbolo della nostra capacità di creare qualcosa più grande di noi, qualcosa che dura, che trascende. Gaudí ha detto: “Quanto più ci mettiamo, meglio è, perché il padrone di quella casa non ha fretta”».
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Questo tempio, ha proseguito Sotto, «è uno strumento eterno che costruisce noi: Papa Benedetto ha detto nella sua omelia che “la Chiesa non ha consistenza da se stessa; è chiamata ad essere segno e strumento”. Personalmente so che la mia missione in quest’opera non è terminata. Ci sarà sempre qualcosa in più da fare, qualche dettaglio da perfezionare, qualche spazio da riempire di significato, qualcosa da restaurare e migliorare».
«Diceva Gaudí che il suo vero committente era Dio e credo che, in qualche modo, tutti noi che lavoriamo qui sentiamo questa stessa vocazione. Il mio lavoro non è solo scolpire la pietra, ma darle vita, trasmettere attraverso di essa la fede e l’amore che Gaudí ha sognato. Pensando sempre: come possiamo dare felicità a questo grande cliente, Dio? La risposta è: “Cerchiamo semplicemente di rendere felici noi stessi, come ogni genitore si sente felice quando vede i propri figli felici, amati”».
La Torre di Gesù nella Sagrada Familia
Sotoo adesso sta ultimando il progetto degli interni della Torre di Gesù, la torre più grande e importante dell’intera Sagrada Familia: 60 metri di altezza, «un unico spazio da riempire di messaggi di Dio e fisica e quantistica», con oltre 32.000 pezzi di ceramica colorata con un sistema inventato da lui simile agli acquerelli. «Rispecchierà tutti gli elementi che Dio ci ha dato», dice, spiegando che la sua intenzione è far sì che chi entra nella torre entri nel Corpo stesso di Gesù. «Per aiutare gli esseri umani imperfetti e le loro parole instabili, Gaudí ha utilizzato tanti nuovi simbolismi per trasmettere direttamente al mondo, soprattutto ai giovani, il significato della Bibbia, che va oltre le parole, oltre il linguaggio. Come ha detto Papa Benedetto: “Non con parole, ma con pietre”».
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