In otto mesi, il ciclista piacentino ha percorso 2300 chilometri: «All’estero ne capiscono più di ciclismo. Vorrei coinvolgere i giovani»
Le imprese del ciclismo non hanno solo il volto dei grandi campioni come Pogacar o Van der Poel, ma nascono anche molto più vicino alla nostra quotidianità. Il 45enne Matteo Zazzera negli ultimi otto mesi ha percorso circa 2300 km in bicicletta, completando per primo al mondo tutti i quattordici tracciati lunghi dell’Eroica, una manifestazione cicloturistica che esiste ormai da più di vent’anni e si propone di rievocare il ciclismo di un tempo aprendo le sue porte a tutti gli appassionati.
Partiamo dall’inizio: quando è stato il suo primo contatto con la bicicletta?
«Vengo da Groppallo, piccolo paesino sull’Appennino piacentino, e da bambino era difficile vederne una via di fuga. Anche in tv arrivavano solo i tre canali Rai. Prima mi sono rifugiato nei libri poi con i soldi dei primi lavoretti estivi a dieci anni ho comprato una bicicletta e capito subito che poteva essere il mio strumento per scappare. Sono stato agonista per oltre un decennio e solo un serio infortunio mi ha fermato dal diventare professionista».
Cosa l’ha spinta a non lasciare il mondo dei pedali?
«La bici è rimasta un faro della mia vita. In Italia c’era un buco professionale e ho iniziato ad approfondirne tutti gli aspetti culturali, sociali, commerciali, tecnici. Sono stato anche per anni negli Stati Uniti e in Cina per comprendere tutti gli aspetti di questo mondo così diversificato».
Tanto da ideare un vero e proprio corso denominato Bike Academy.
«Un’idea nata nel cuore dell’Emilia poi diventata realtà a Milano e Cremona con un percorso didattico completo che va dalla meccanica alla progettazione di elementi per la stampa in 3D. Senza dimenticare l’aspetto culturale di un mezzo che ha influenzato anche la geopolitica. Cerchiamo di aprire un mondo ai ragazzi e dal 2025 riporteremo questa esperienza anche alla base: a Reggio Emilia. In futuro sarebbe bello trasformarlo in un vero percorso accademico universitario biennale».
Cosa significa oggi studiare la bicicletta in Italia?
«Comprendere un settore che genera miliardi di fatturato. All’estero ne capiscono meglio il valore e investono nelle nostre realtà, mantenendo qui le aree di ricerca e sviluppo perché possono contare su un tessuto industriale straordinariamente variegato che offre risposte impossibili da cercare altrove. Se avessimo piena comprensione di questo, l’Italia potrebbe essere la locomotiva della rivoluzione della mobilità sostenibile».
L’Emilia potrebbe avere un ruolo chiave?
«Indubbiamente. Il tratto delle Orfanelle a San Luca ad esempio sono già un elemento su cui si è fatto un buon lavoro a livello di comunicazione internazionale. Serve un passaggio in più per vedere davvero la bicicletta come il mezzo del futuro. Sinceramente però mi aspetto che a Bologna nei prossimi anni possa nascere qualche start-up che faccia da traino: c’è un ateneo fra i migliori in Italia quindi le menti brillanti in città non mancano».
Passando invece alla parte fisica della sua impresa, come è nato l’approccio all’Eroica?
«Detto che trascorro fuori casa 281 giorni all’anno e la bicicletta è sempre con me, tutto è iniziato quando mi sono ritrovato a essere 123 kg e ho deciso di dimagrire. Non bisogna essere dei fenomeni: anche pedalare solo per 10 minuti al giorno è meglio che non farlo».
Come è arrivato al record del grande slam eroico?
«L’Eroica è un evento che non punta sulla prestazione ma sulla voglia di stare insieme e ammetto che non ho mancato nemmeno uno dei ristori previsti, veri fiori all’occhiello della manifestazione. Si partecipa con lo spirito che abbiamo da bambini, non per una ricompensa o per agonismo. Però tappa dopo tappa ci ho preso gusto e ho voluto concludere tutto il percorso di quelle lunghe, come nessuno aveva mai fatto: oltre a quelle italiane ci sono ad esempio anche quelle in Giappone, Cuba e Sudafrica. Per un totale di circa 2300 km percorsi da febbraio a ottobre».
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