Arrivati a una certa età, ci si accorge che anche sui social si vive in una bolla «vintage» dove ascoltano solo i propri coetanei. Si pubblicano i post degli sceneggiati di una volta, e rispondono solo i più attempati. Per gli altri si è alieni invisibili, o peggio, vecchi. È il dramma generazionale attuale, che vede un divario tra giovani e anziani, un cortocircuito di comunicazione all’interno di un mondo iperconnesso. Se non si hanno figli o parenti, c’è il rischio di essere lasciati da soli, o quantomeno di rimanere tagliati fuori dalla vita sociale. Da giovani non si pone il problema, che in seguito, si presenta puntuale. La soluzione per ovviare a questi disagi sociali è cercare di colmare lo scarto, facendo incontrare i mondi apparentemente distanti dei ragazzi di ieri e di oggi. In genere sono due ambiti separati da confini in apparenza invalicabili: gli ultra 65enni, salvo rari casi, se ne stanno da soli in casa, con le giornate scandite dai palinsesti della tv, mentre chi ha una vita davanti ha abitudini del tutto diverse. Necessario quindi creare occasioni di scambio.
Va in questa direzione il progetto «Co-housing e caring tra generazioni», finanziato da Regione Lombardia, concepito per incentivare lo scambio intergenerazionale e per ora rivolto a Pavia, Bergamo e Milano. L’iniziativa punta a creare nuove opportunità che possano funzionare per giovani e anziani: grazie ad accordi stipulati con gli atenei, si offre agli studenti che abbiano fino a 25 anni l’affitto nelle case di persone che abbiano compiuto i 65 anni. Come spiega Elena Lucchini, assessore alla Famiglia, solidarietà sociale, disabilità e pari opportunità di Regione Lombardia, «con questa iniziativa si contrasta l’isolamento degli anziani – dopo il Covid sono ancora tanti che non si staccano dalla propria abitazione e fanno fatica a socializzare all’esterno. Si tratta di responsabilizzare uno studente che sta a casa con la persona in età, per accompagnarla a fare le commissioni, aiutarla a prenotare le visite mediche, condividere il teatro o il cinema. Il giovane, a cui viene pagato l’affitto (nel caso di Pavia è già stato stabilito che la spesa sarà coperta integralmente e le altre due città selezionate dovrebbero andare in quella direzione, ndr), vive un’esperienza di volontariato e magari gli vengono anche riconosciuti alcuni crediti universitari». Il «patto di coabitazione» ha un’importante valenza sociale, non si limita a essere un aiuto economico per entrambe le parti. Si incentivano le relazioni intergenerazionali. Dal canto loro, i giovani si impegnano a dare una mano ai senior nelle incombenze quotidiane. Gli anziani, invece, oltre a offrire il proverbiale bagaglio di esperienze in una società che sta riscoprendo i valori della memoria, potranno persino salire in cattedra per condividere con i più giovani saperi considerati troppo sbrigativamente da archiviare. «Gli anziani possono diventare senior tutor», precisa Lucchini. «Pensiamo allo studente lavoratore che magari non ha il tempo per seguire tutti i corsi. L’idea è di avere un adulto che al suo posto segua le lezioni, prenda gli appunti, tenga i rapporti con il docente, e aiuti nello studio. In tal modo quella persona si sente anche utile». Il progetto è stato definito un «patto di scambio» per valorizzare le esperienze di ciascuno, favorendo il dialogo e contrastando l’isolamento. L’obiettivo è un invecchiamento attivo, dando una risposta concreta alla solitudine e con un «cuscinetto» sociale per eventuali fragilità. Si sostanzia così l’idea di socializzazione e di solidarietà tra persone di età distanti.
Per promuovere l’iniziativa è stato sottoscritto un protocollo d’intesa tra Regione Lombardia e le università del territorio: sono stati stanziati 1,2 milioni di euro, messi a disposizione degli atenei di città a forte tensione abitativa. Come osserva Lucchini, «tutto parte da un accordo con il Crul, il Comitato regionale di coordinamento delle università lombarde, che ha selezionato questi primi tre atenei. La prospettiva è quella di allargare il progetto a tutte le università lombarde». A ottobre, il progetto a cui partecipano attivamente i soggetti del terzo settore nelle varie città, ovvero le associazioni, è stato presentato all’Università degli studi di Pavia, seguito da quella di Bergamo, e ora sarà la volta della Statale di Milano. Le prime risposte sono molto soddisfacenti. «Al progetto di Pavia stanno aderendo tanti ragazzi, per cui si sta andando oltre le attese» aggiunge Lucchini. «La vera sfida è intercettare gli anziani disposti a fare l’esperienza: per questo devono dare una mano i comuni e il terzo settore. E occorre coinvolgere anche i privati: vanno valorizzati e resi attivi. Se gli stessi cittadini fanno la propria parte, tutti insieme potremo costruire qualcosa di importante».
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