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I salari lumaca ci hanno reso tutti più poveri


«I salari reali nel terziario sono crollati, con un drastico – 8% in 10 anni che, nel commercio, diventa un inquietante -15%. La produttività del lavoro però viaggia in controtendenza, con un + 16,3%. Ma quanta ne viene redistribuita? Zero».

Il giudizio della Uiltucs, la Uil del terziario, su salari e contrattazione è implacabile. Tutta colpa dell’analisi delle dinamiche in Italia negli ultimi 10 anni, messe a confronto con quelle di altri 8 Paesi dell’Unione Europea, in cui la contrattazione copre una larga maggioranza della forza lavoro. Si parla di Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Spagna, Svezia.

I numeri

«Sulla base dei risultati della ricerca abbiamo elaborato una concreta proposta per una riforma della contrattazione collettiva e delle dinamiche salariali», duce il sindacato. «Lo scopo è ridurre una povertà del lavoro che, a conti fatti, è evidente: i salari nominali medi in Italia si posizionano al penultimo posto rispetto agli altri 8 Paesi considerati, con un valore di poco superiore ai 30.000 euro annui, rispetto ad un range negli altri paesi tra i 41.000 e i 62.000 euro».

Le cifre dell’indagine sono sconfortanti: i salari nominali medi in Italia nell’ultimo decennio sono cresciuti meno dell’inflazione, e sono arretrati in termini reali (-8%), a fronte di una crescita dei salari reali negli altri Paesi (tra il +2% e il +15%). L’erosione del potere d’acquisto è stata ancora più grave nel terziario, dove i salari sono arretrati dell’11,4% rispetto all’indice Ipca-Nei, e del 13,5% rispetto all’inflazione reale rilevata dall’indice Nic dei prezzi al consumo. Una situazione opposta a quella che per esempio si è verificata in Germania, dove nell’ultimo decennio l’aumento di salari ha sorpassato il carovita del 14%.

«Segno più invece per la “produttività del lavoro” (calcolata tenendo conto del valore aggiunto e dell’effettivo apporto del lavoro alla crescita della produttività), che in Italia è cresciuta in tutti i settori, con l’eccezione dell’agricoltura, con una media del +3,2%».

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Il bivio

Proprio su questo punto però nasce un dubbio. Se la Germania è diventata tra le capofila di una rivalutazione degli stipendi che ha reso tutti i residenti più ricchi davanti all’aumentare dei prezzi, non lo ha certo fatto senza pagare salato la scelta. Non si può infatti dimenticare che la recente crisi della Volkswagen, una delle più dure che la casa automobilistica tedesca ricordi, è stata innescata (dicono i vertici) dall’eccessivo costo del lavoro. La pioggia di licenziamenti annunciata si potrebbe quindi scongiurare solo se i sindacati si accorderanno su un taglio dei salari. 

Una vera marcia indietro che porterebbe indietro di anni le conquiste contrattuali di interi settori.

I comparti

Sì, perché nelle difficoltà generali c’è chi se la passa peggio. «Estrapolando il macrosettore dei servizi (commercio, turismo, trasporti e logistica), la produttività del lavoro è cresciuta del +7,8%, contro la media nazionale del +3,2%», spiegano ancora dalla Uiltucs. «Se si considera il solo commercio la produttività del lavoro è cresciuta molto più della media nazionale (+16,3% contro +3,2%). Inoltre, tra il 2015 e il 2021, il Mol (Margine operativo lordo) delle imprese è cresciuto nel commercio del 44,9%. Per contro gli investimenti nel commercio sono ristagnati (+1,6%)».

Il segretario generale del sindacato, Paolo Andreani, non può che sottolineare un’ingiustizia ancora impunita: «Da questi dati relativi al settore del commercio si può perciò dedurre che, nonostante la pandemia e le sue conseguenze le imprese hanno accumulato utili enormi. Quasi nulla di questi utili è stato reinvestito, contribuendo alla spirale inflattiva e alla stagnazione dell’economia del Paese. La produttività del lavoro del commercio è cresciuta 5 volte di più della media degli altri settori, ma non è stata minimamente redistribuita al lavoro. Questo scenario si somma alla situazione sconfortante dei salari nazionali, con il crollo del potere d’acquisto che getta la maggioranza dei lavoratori del settore in una situazione di povertà. Una seria riforma del sistema contrattuale – conclude Andreani – non è più rinviabile, se si vuole restituire al mondo del lavoro la dignità che gli spetta».

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