“La Sanità non è più capace di garantire le cure a tutti i cittadini, e va avanti grazie solo ai professionisti che vi operano”. È con queste parole del presidente Pietro Arca che si è aperto il convegno promosso dall’associazione culturale senatore Lucio Abis. “Ospedali e Pronto soccorso chiusi, reparti smantellati, gravissime carenze di medici e personale infermieristico, il 18% dei sardi che rinuncia a curarsi e 40 utenti senza medico di base”. Ad aprire i lavori è stata Franca Mugittu, portavoce del Comitato per il diritto alla salute della provincia di Oristano.
“Il problema più grande è quello dei medici di base, punto nevralgico tra il territorio e le strutture sanitarie. Un lavoro sempre sottovalutato ma importante perché limita gli ingressi ai Pronto soccorso. È da rivedere l’organizzazione ma è indispensabile un vero atto di autonomia, come ha proposto questo convegno”. Francesco Agus, componente della Commissione Sanità ha messo in evidenza che in Italia e quindi in Sardegna, si spende troppo poco per gli operatori sanitari, un’anomalia ed è quanto mai essenziale che la Regione si doti delle nuove linee guida. Agus ha ribadito che “le priorità per la Sardegna centrale sono quelle di salvare gli ospedali di Oristano e Nuoro”. Ha toccato anche il problema della mobilità verso le altre regioni che costa alle casse regionali 77 milioni.
Franco Meloni, ex direttore generale del Brotzu e della Clinica Madonna del Rimedio ha spiegato che non crede al disastro che oggi appare sui giornali. “Trovo ingeneroso attribuire le responsabilità all’attuale giunta” ha detto Meloni, “si sono trovati davanti a tanti problemi. Purtroppo il problema non sono tanto le risorse, ma la carenza di medici, che sono gli attori principali. Occorre avviare la revisione delle reti ospedaliere, è troppo vecchia”. Maria Grazia Fichicelli, di Cittadinanza attiva ha ribadito che “oggi il cittadino va ascoltato, non può essere ignorato” e che “gli attori principali sono proprio loro, insieme agli operatori sanitari e alla politica”. Battistino Ghisu, amministratore straordinario della Provincia ha ricordato che “il sistema sanitario nazionale invidiato da tutto il mondo ora si assottiglia sempre più”. “È mancata la programmazione”, e che “per dare un servizio adeguato occorrono le risorse. Ci vogliono gli esperti e i manager e la politica deve sapere ascoltare, tutti siamo chiamati ad un grande impegno se vogliamo rimettere in sesto un Sanità malata e riportare il territorio centrale ad avere una adeguato servizio sanitario. La politica i deve fare uno scatto in avanti. Assicurare a tutti la Sanità”.
“Noi e il territorio non siamo stati ascoltati” ha detto Antonio Sulis, presidente dell’Ordine dei medici. “Un territorio dove mancano i medici di famiglia, dove ci sono 40mila persone senza medici di base. Gli Ascot non risolvono il problema, abbiamo sbagliato l’approccio con la rete ospedaliere. Fare azione di rete che no che c è”. Gian Giuseppe Vargiu, sindaco di Narbolia ha ricordato che “sono proprio i sindaci ad avere tenti problemi. Un esempio, l’attualità dei vaccini: ne abbiamo avuto solo 300 a fronte di 1300 necessari”. Annalisa Mele sindaco di Bonarcado ha messo in evidenza che “il tempo è poco per sanare tutti i problemi”. La grave carenza di medici, soprattutto del medico di famiglia che con il suo lavoro oggi riduce il carico dei Pronto soccorso. “Io sono medico di base, ho 1800 pazienti in diversi paesi ma purtroppo solo la burocrazia assorbe il 60 per cento del nostro tempo”. In chiusura il presidente Pietro Arca, ha ricordato che grazie ai contributi degli intervenuti si preparerà un documento con le proposte che saranno inviate al Consiglio regionale. La chiusura dei lavori del convegno, moderati dalla giornalista Simona Scioni, è stata affidata al presidente del Consorzio Uno, Università di Oristano, che ha lanciato le proposte di una ormai necessità di autonomia regionale. “Non prendendo atto che il sistema è fuori controllo, e aggiustando alla giornata le situazioni. Il modello autonomistico parte da una condizione. Dovremmo essere nelle condizioni di condividere l’idea che il modello organizzativo nazionale è stato già troppo stretto all’origine rispetto alla nostra condizione di insularità e alla nostra condizione geografica territoriale dove c’è dispersione demografica incomparabile con il resto d’Italia. Il livello della compensazione della mobilità passiva in sanità e già un sintomo di sconfitta perché non può essere eliminato, ed è un costo dell’insularità in parte. Bisogna agire sulle emergenze. II servizio sanitario è coperto interamente dagli introiti tributari della Regione e, in virtù di questo, possiamo chiedere e avere una maggiore efficienza, un modello organizzativo e contrattuale commisurato alle esigenze dell’isola. Se dovesse esserci l’esigenza di un apporto finanziario ulteriore, l’idea di una compartecipazione dei cittadini a più alto reddito non lo possiamo escludere. Chi ha di più deve dare a chi ha di meno. In maniera che l’accesso ai benefici sanitari si consentito a tutti e non escluso come adesso alle persone a basso reddito. L’autonomia deve consentire che i fabbisogni sanitari debbano essere commisurati alle esigenze della Sardegna e non contingentati dalle norme dello Stato è il reclutamento delle forze sanitarie deve essere fatti attraverso le strutture della Sardegna in rapporto ai propri bisogni”.
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