PIOMBINO. Un’inerzia iniziale attribuibile ai vari soggetti pubblici chiamati a vigilare sull’operazione, seguita da un costo per lo Stato di 3,3 milioni di euro affrontato per evitare l’ampliarsi di un inquinamento marino accertato dall’Arpat. Il caso delle 56 ecoballe, gettate nel mar Tirreno nella notte tra il 23 e il 24 luglio 2015 dalla nave IVY13, battente bandiera dell’Isola di Cook, a poche miglia dal molo di partenza di Piombino, ha un punto fermo a livello di responsabilità. Non per lo scarico giustificato dal comandante con la messa in sicurezza – causa meteo avverso – dell’imbarcazione e dell’equipaggio. Il nodo è quello dei soldi spesi per recuperare i rifiuti destinati a finire in una discarica bulgara.
La condanna
La Corte dei conti ha condannato l’ingegnere Andrea Rafanelli, 49 anni, genovese, residente a Rosignano Solvay, dirigente del settore bonifiche e autorizzazioni rifiuti della Regione – dal primo gennaio 2016 al primo agosto 2019 – a risarcire con 300mila euro la Presidenza del Consiglio dei ministri. Nei confronti del dirigente, ora responsabile del settore bonifiche e “siti orfani” Pnrr della Regione, viene riconosciuta la colpa grave «sia la mancata escussione della polizza dal momento in cui egli ha assunto, il primo gennaio 2016, la competenza sul settore, sia lo svincolo della stessa nel novembre del medesimo anno». In sostanza la società incaricata del trasporto dei rifiuti aveva sottoscritto una fidejussione a garanzia dei rischi del trasporto transfrontaliero fino a 2,8 milioni di euro. Aver “liberato” la società dall’attivare la fidejussione avrebbe comportato, secondo i giudici contabili, l’onere delle spese di recupero a carico delle casse pubbliche. La Procura chiedeva all’ingegnere 2,8 milioni, il valore della fidejussione anche se i costi del recupero delle 32 ecoballe (le altre 24 sono ancora in mare non si sa in quale forma) fu di 3 milioni e 386mila euro. Le operazioni vennero effettuate fra il 2 agosto ed il 2 dicembre 2020. La somma, inizialmente sostenuta dalle diverse amministrazioni intervenute nelle operazioni di recupero, è stata poi corrisposta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri nel corso del 2021. Di qui l’individuazione del soggetto giuridico che il dirigente regionale è stato condannato a risarcire.
La difesa
Il legale dell’ingegnere nel corso dell’udienza ha rimarcato come la polizza fornita dalla società Eco Valsabbia Srl di Brescia «sarebbe stata correttamente svincolata in quanto la responsabilità dello sversamento graverebbe, esclusivamente sul comandante e sull’armatore della nave». Tesi respinta dalla Corte dei conti.
Lo scarico
La nave aveva un carico di 1.888 “balle” di rifiuti, le quali, come emerge dalla polizza di carico sottoscritta dal comandante della nave, erano state collocate in parte nella stiva (1598 balle) ed in parte sul ponte della nave (290 balle). Si trattava di Cdr- combustibile derivato da rifiuti- , provenienti dalla ditta Futura Spa e destinato in un impianto in Bulgaria. Il 3 agosto 2015 il comandante della nave IVY aveva emesso una “Note of Sea protest”, riferendo «di essere stato costretto al rilascio in mare di 56 balle per stabilizzare l’assetto della nave a causa delle condizioni meteo avverse ed al fine di preservare la sicurezza dell’equipaggio».
L’episodio rimase segreto per mesi. Poi l’apparizione delle ecoballe in mare fece scoprire cosa fosse successo nell’estate 2015: uno scandalo tenuto nascosto all’opinione pubblica per lungo tempo.
La colpa grave
La bonifica parziale fu la risposta al problema dei rifiuti marini. La partita successiva, dopo l’esposto di Greenpeace e le indagini della Guardia di finanza, è stata quella sulla mancata escussione della fidejussione. E per il dirigente la colpa grave sarebbe consistita nel momento in cui « nonostante l’evidenziata consapevolezza che parte dei rifiuti non erano giunti a destinazione perché gettati in mare, il convenuto, senza esplicitare le ragioni di tale decisione, ha ritenuto di procedere ugualmente allo svincolo della polizza, la cui funzione era proprio quella di coprire i costi di recupero e di smaltimento dei rifiuti non pervenuti a destinazione – scrivono i giudici -. Tale decisione, dunque, appare connotata da colpa grave, avendo privato l’amministrazione pubblica della garanzia normativamente prevista e posta a presidio proprio della copertura dei costi, poi effettivamente sostenuti, di smaltimento e recupero dei rifiuti». Rafanelli ha sostenuto di aver sottoscritto l’atto sulla base dell’istruttoria svolta dai propri uffici senza avere avuto la possibilità, a causa del carico di lavoro, di approfondire le relative problematiche».
La riduzione dell’importo
Nella ricognizione di dati, documenti e decisioni, la Corte dei conti è arrivata alla conclusione che il dirigente si è ritrovato a operare in una reazione a catena di inerzie e omissioni.
«Solo il 30% del danno può essere effettivamente imputato al dirigente della Regione Toscana, competente per materia dal primo gennaio 2016, in quanto le condotte omissive sia della Provincia di Grosseto (che all’epoca dei fatti era l’autorità di spedizione competente e aveva autorizzato la spedizione, ndr) fino al 31 dicembre 2015, sia del ministero dell’Ambiente hanno concorso a determinare il danno» ancora la sentenza.
Per la Provincia di Grosseto l’inerzia nell’immediatezza del fatto incide nella misura del 50% sulla causa del danno, mentre è del 20 per cento per il ministero dell’Ambiente. Una magra consolazione per l’ingegner Rafanelli è quella in cui viene descritto a lavorare «in un contesto caratterizzato da una diffusa inerzia da parte degli altri soggetti che, anche prima di lui, si sono occupati della vicenda, i quali hanno omesso qualunque azione volta non solo all’incasso della polizza, ma anche all’immediato recupero dei rifiuti sversati in mare a spese dei soggetti ritenuti responsabili». Il conto di 300mila euro, però, è arrivato solo a lui.
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