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tutti sono più poveri, ecco di quanto


Impoveriti. Anche se gli stipendi sono aumentati. Il problema è che non lo hanno fatto abbastanza. O meglio, non sono state messe in campo forze sufficienti a farli crescere perlomeno allo stesso ritmo da sprinter e maratoneta assieme che ha mantenuto invece il costo della vita. Il risultato? In Friuli Venezia Giulia i cittadini sono di fatto meno benestanti (quando non letteralmente più poveri) rispetto a dieci anni fa. Lo certifica l’analisi dell’Ires del Friuli Venezia Giulia, fornita dal ricercatore Alessandro Russo a partire dalle banche dati dell’Istat.

 

NUMERI

Dal 2013 al 2023, gli stipendi medi percepiti annualmente dai lavoratori del Friuli Venezia Giulia hanno perso il 7,4 per cento del loro valore reale. Cosa significa? Che la stessa cifra percepita nel 2013 da un lavoratore medio oggi vale il 7,4 per cento in meno sul mercato dei consumi. È stata (lentamente, con alcuni picchi più rapidi) divorata dall’inflazione e non compensata da un aumento sufficiente della portata stessa dei salari. Non deve “ingolosire”, infatti, la crescita del 10 per cento che rappresenta invece il valore cosiddetto nominale. Perché è vero che in dieci anni gli stipendi sono aumentati, ma lo è altrettanto il fatto che l’inflazione ha tenuto un ritmo molto più elevato.

 

LA SERIE STORICA


Si parte dal primo anno di riferimento, cioè dal 2013 da cui inizia l’analisi dell’Ires del Friuli Venezia Giulia. Dieci anni fa il lavoratore medio residente in regione percepiva 20.953 euro in un anno. Ma il valore reale sul mercato del suo stipendio era di 24.892 euro. Fino al 2017, poi, lo stesso valore reale avrebbe manifestato una tendenza costante all’aumento, così come quello nominale degli stipendi. Da quel momento, invece, l’inversione di tendenza. Tra il 2017 e il 2018, infatti, il valore reale dello stipendio da lavoro dipendente in Friuli Venezia Giulia ha intrapreso la parabola discendente, passando da 25.509 euro l’anno a quota 24.915 euro l’anno. E l’anno scorso è stato toccato il livello minimo, con 23.052 euro di stipendio “reale”. Quasi duemila euro in meno rispetto al 2013, anno di partenza dell’analisi elaborata dall’Ires del Friuli Venezia Giulia.

 

IL QUADRO


L’anno preso in esame è quello della dichiarazione (quindi i dati 2023 si riferiscono ai redditi 2022). La fonte primaria è quella del Ministero dell’Economia e delle Finanze. L’analisi tiene conto sia del valore nominale, che del valore reale (rivalutato in base all’Indice dei prezzi al consumo per famiglie operai e impiegati). Il reddito medio da lavoro dipendente dichiarato nell’ultimo decennio è aumentato del 10 per cento in termini nominali, ma in termini reali (valori depurati dall’inflazione) è diminuito del 7,4 per cento. 

L’Istat ha reso noti recentemente i dati territoriali dell’inflazione di ottobre, in base ai quali l’Unione Nazionale Consumatori ha stilato la classifica completa di tutte le città più care d’Italia, in termini di aumento del costo della vita. Non solo, quindi, delle città capoluoghi di regione o dei comuni con più di 150 mila abitanti. In testa alla classifica delle regioni più “costose”, con un’inflazione annua a +1,6%, la più alta d’Italia, il Trentino che registra a famiglia un aggravio medio pari a 455 euro su base annua e che. Segue il Lazio, dove la crescita dei prezzi dell’1,4%, la seconda più elevata, implica un’impennata del costo della vita pari a 342 euro, terza la Liguria, +1,1% e un rincaro annuo di 256 euro. E Pordenone? È sedicesima, con un rincaro medio annuo per famiglia di 293 euro e un’inflazione che si ferma all’1,2 per cento. Nella graduatoria delle città più virtuose d’Italia, nessuna città è in deflazione. Al 1° posto ancora una volta Biella, che però segna una variazione dei prezzi nulla su luglio 2023, mentre a giugno era -0,4%. Medaglia d’argento per Campobasso (+0,3%, +62 euro), seguita da Caserta (+0,4%, +86 euro). Bene anche Ancona e Pavia, rispettivamente quarta e quinta. In testa alla classifica delle regioni più “costose” , con un’inflazione annua a +1,8%, la più alta d’Italia tra le regioni, il Trentino che registra a famiglia un aggravio medio pari a 512 euro su base annua. 





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