Si avvicina la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” e, con essa, emergono i necessari interrogativi sulla situazione italiana in termini di sensibilità e consapevolezza sul fenomeno della violenza di genere: qual è la percezione attuale degli italiani sul tema? In questo clima di riflessione, e a un passo dal 25 novembre, è stata presentata oggi a Roma la ricerca di INC Non Profit Lab, “Prima che sia troppo tardi. Educare i giovani all’affettività per contrastare la violenza di genere” con il patrocinio di Rai, che riporta dati interessanti e, per certi versi, sorprendenti.
Morolo, convegno sulla violenza contro le donne all’Auditorium
I dati della ricerca: allarme tra i più giovani
Prima qualche dato confortante: secondo quanto emerso dallo studio, il problema della violenza di genere preoccupa 8 italiani su 10, che ritengono la questione grave e urgente da affrontare. L’80,8% degli italiani è consapevole che quella dei “femminicidi” è un’emergenza diffusa: per circa 7 su 10 il problema va affrontato con urgenza prioritaria, ma con una significativa differenza tra le donne (8 su 10) e gli uomini (6 su 10). In generale, la consapevolezza dell’urgenza aumenta con l’età. Colpisce però, in particolare, la bassa adesione tra i ragazzi 18-24enni: meno di 4 su 10.
Lo fa presente anche Paolo Mattei, Vicepresidente INC, riportando i dati più significativi. Tra questi anche il fatto che gli italiani parlano molto del tema, in primis in famiglia, dove quasi 8 su 10 lo fanno con i figli 14-18enni, 7 su 10 con il/la partner e i bambini/ragazzi dai dieci anni in su, ma meno di 4 su 10 ne parlano con i figli più piccoli (5-9 anni). Questo avviene anche e soprattutto grazie ai componenti più anziani del nucleo: i nonni, che trascorrendo molto tempo con i ragazzi si assumono la responsabilità di rispondere a questioni importanti.
«La ricerca ci dice tante cose – spiega Paolo Mattei, Vicepresidente di INC – ma a me preme sottolinearne tre. La prima è che il problema non è rimosso, è percepito come grave da parte di 8 italiani su 10 e da risolvere con urgenza prioritaria. La seconda evidenza forse è meno scontata. I nostri connazionali pensano che a differenza del passato dobbiamo dialogare soprattutto con bambini e adolescenti, sensibilizzandoli, prima che sia troppo tardi, anche attraverso l’educazione affettiva – materia da introdurre nei programmi scolastici – al rispetto dell’altro. Una forma di “educazione preventiva dell’anima”, come la definisce il filosofo Umberto Galimberti. Mentre, riguardo alle campagne di sensibilizzazione sul tema da fare nelle scuole, colpisce che i genitori confermino che non è mai troppo presto per farlo, visto che accetterebbero messaggi di questo tipo anche per i figli under 14 e già dai 5 anni».
Ma non tutti i dati sono rassicuranti, soprattutto per quanto riguarda i più giovani. Come spiega durante la conferenza Cosimo Finzi, Direttore di AstraRicerche, ci sono dati «di peggioramento storico», infatti «il 20% degli intervistati nel 2021 diceva che esiste solo la “violenza fisica”, quando vorremmo sentir parlare anche di violenza psicologica, e questa percentuale è cresciuta al 27% nel 2023, nell’ultima rilevazione».
Non è però l’unica tendenza negativa emersa.
«Nelle ricerche si è cercato di capire il tasso di accettazione di uno schiaffo in una litigata. Il 16% degli italiani dice di accettare uno schiaffo durante una discussione, uno su sei ammette la possibilità che una discussione possa sfociare in aggressione fisica. C’è però una differenza tra uomini e donne: il 20.1% degli uomini lo accetta, contro il 12.1% delle donne. Ma il grandissimo tema è un altro: il dato è molto più alto tra i giovani e decresce con l’età».
Questo, in sostanza, è il dramma fondamentale rilevato dallo studio: il divario maggiore in tema di violenza di genere si riscontra tra giovani uomini e giovani donne.
«Il 28.2% dei giovani uomini accetta che una discussione sfoci in aggressione, contro il 15% delle donne – continua Finzi -.
Si tratta della generazione in cui la differenza tra uomini e donne è più ampia».
Se questo non bastasse, le statistiche si dimostrano allarmanti anche su altri aspetti. «Uno su quattro italiani ritiene naturale che, in una coppia dove entrambi hanno una carriera, l’uomo debba avere più opportunità lavorative». Un dato senz’altro preoccupante.
Il ruolo della scuola
Quello che emerge dalla ricerca è quindi la necessità di dare un’ulteriore accelerazione in prospettiva futura, andando oltre le campagne di sensibilizzazione finora realizzate, che per 4 italiani su 10 sono a volte retoriche. La chiave di volta per cambiare prospettiva è parlarne con bambini e ragazzi e soprattutto nelle scuole.
Il limite emerso dagli studi, infatti, è quello dei «14 anni», età oltre la quale «è già troppo tardi» per una profonda ed efficacie prevenzione, come segnalato a più riprese durante la conferenza.
L’Italia su questo aspetto appare quasi unanimamente d’accordo: più di 9 su 10 vorrebbero campagne di sensibilizzazione sulla violenza di genere nelle scuole. Un plebiscito con numeri quasi totalitari tra le donne (94%), ma assai elevati anche tra gli uomini (89%). Preoccupano tuttavia i numeri relativi ai maschi più giovani (18-24 anni), i meno sensibili al tema: se il 76% si è dichiarato favorevole, ben il 24% ha manifestato il proprio dissenso. Per il 91,6% servono campagne di sensibilizzazione da indirizzare a bambini e ragazzi e con l’inserimento (79,7%) dell’educazione all’affettività nei programmi scolastici.
Interviene in merito, con la sua esperienza diretta, anche una Docente di scuola primaria, Cristina Cecconi, che ha inserito l’educazione affettiva all’interno dell’orario scolastico, con ottimi risultati: «I bambini sono entusiasti e coinvolti. Ci dedico un’ora al giorno in ogni classe: hanno un quadernino dove segnano il loro stato emotivo. Con i bimbi più grandi uso anche la mindfulness e con quelli di 4a e 5a creo gruppi di lavoro e scambio. I docenti sono collaborativi, mentre i genitori non hanno risposto in maniera molto gioiosa».
Ottimi riscontri, quindi, per una pratica che andrebbe implementata nel sistema scolastico, sin dalla giovane età.
Un’urgenza sempre più stringente, dato che, come sengalata l’Onorevole Michela Vittoria Brambilla Pres. Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza in collegamento: «Si propone di abbassare l’età di imputabilità penale a 14 anni. Per cui il problema deve essere affrontato alla radice, specie se ci troviamo davanti a minori». Per lei «i bambini non nascono cattivi, il carcere non è la risposta».
Interviene anche Alberto Pellai, psicoterapeuta e ricercatore dell’Università degli Studi di Milano che sottolinea la necessità di una «prevenzione primaria», dal momento che i ragazzi vivino anche il «rischio enorme della vita digitale», ma non solo i giovanissimi devono essere educati, si tratta di «temi che devono entrare nei curricola dei docenti».
Media e comunicazione
Tutto il mondo della comunicazione è coinvolto da anni nella sensibilizzazione contro le violenze di genere. Tanto che più di 8 italiani su 10 ricordano di aver visto negli ultimi sei mesi campagne di comunicazione sulla violenza di genere. Però, un po’ meno della metà degli intervistati boccia le attuali campagne giudicandole “troppo retoriche, poco concrete”.
I dati spingono Pasquale De Palma, il Presidente INC, a dire che «dobbiamo fare di più e di meglio con le campagne. Il giudizio degli italiani non arriva alla sufficienza. Qua non dobbiamo vendere un prodotto, ma cambiare le percezioni e le opinioni: ci vogliono campagne efficaci. In questo caso abbiamo un preciso target, bisogna andare nelle scuole» spiega durante la conferenza. «Negli ultimi anni abbiamo visto tante campagne di sensibilizzazione contro la violenza di genere, in Italia e nel mondo. – continua – Belle campagne, ad alto tasso di creatività, con immagini e linguaggi forti ed espliciti. Ma la sensazione, confermata anche dalla nostra ricerca, è che oggi per generare un cambiamento significativo nei comportamenti di abuso e violenza serva un cambio di paradigma anche nella comunicazione. Serve educare bambini e i ragazzi, ‘prima che sia troppo tardi’, e senza differenze di genere».
Nonostante la netta percezione dell’importanza del problema, 6 italiani su 10 dicono che è ancora in parte sottovalutato, perché più grave e diffuso di quanto emerga dai media. Questa convinzione è molto più forte tra le donne (68%) che tra gli uomini (54%), con una differenza particolarmente marcata nella fascia d’età tra 18 e 24 anni: ben l’84% tra le prime, solo il 45% tra i secondi.
«L’informazione pubblica ha imparato a tenere alta l’attenzione sul fenomeno. – ricorda Roberto Natale, Consigliere di Amministrazione Rai, fino a poche settimane fa Direttore di Rai Per la Sostenibilità-ESG – Si sono consolidati nel palinsesto Rai titoli che stabilmente ci ricordano l’inaccettabilità di questi numeri e che aiutano tante donne a trovare il coraggio per denunciare: come dimostrano i picchi di chiamate al 1522 dopo alcune nostre trasmissioni. Parallelamente si è fatta più continua e coerente l’azione per affermare in positivo il ruolo delle donne, per praticare concretamente la parità nei media di servizio pubblico».
Il terzo settore
Gli italiani attribuiscono alle organizzazioni non profit un ruolo nell’educazione all’affettività e vedono per loro ampi margini di crescita: quasi 8 su 10 (76,1%) si aspettano un Terzo Settore ancor più attivo in questo ambito e ritengono che l’attività del non profit sul tema sia imprescindibile (61,9%).
Un’attestazione di fiducia ma anche una sfida, che il Terzo Settore è pronto a cogliere: per l’89% del campione non profit, il compito di fare campagne di sensibilizzazione spetterebbe proprio alle organizzazioni, prima che alla scuola e alle istituzioni. Sul proprio ruolo sussidiario, il Terzo Settore non ha dubbi: l’attività delle organizzazioni contro le violenze di genere è imprescindibile perché famiglia e istituzioni non sempre riescono a svolgere al meglio tale compito (75%) e in futuro il non profit dovrà essere ancor più attivo nell’educazione all’affettività (89%). Senza nulla togliere però al ruolo della scuola: chi opera nel Terzo Settore è a favore di campagne scolastiche sul tema (91,6%) e all’inserimento dell’educazione all’affettività tra le materie di studio (79,6%). 6 enti su 10 pensano che si debba cominciare dai bambini di 5-9 anni (60% vs 46,9% della popolazione), focalizzando l’attenzione sul superamento degli stereotipi (75% vs 48,1% della popolazione) e su come donne e uomini sono oggi rappresentati in film, pubblicità, media, web e social (42% vs 15,7% della popolazione).
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