L’invasione russa in Ucraina non è solo uno spietato tentativo di annettere territori, ma soprattutto quello di cancellare davanti agli occhi del mondo l’identità ucraina, tornando a soggiogarla e russificarla come ha fatto indisturbata e in modo coatto per secoli. Il Cremlino non colpisce infatti solo scuole e ospedali, ma considera obiettivi militari anche musei e siti culturali ucraini. Secondo l’Unesco sono stati bombardati circa trecentocinquanta monumenti in Ucraina, tra questi un simbolo della resistenza: la tipografia di Kharkiv, distruggendo le preziose tirature destinate a eventi culturali come “Arsenale del libro” (Knyzhkovyy Arsenal), la più grande fiera dell’editoria ucraina.
«Bombardare i siti culturali ucraini è una politica mirata della Russia. Ne abbiamo le prove. A luglio i servizi segreti ucraini hanno identificato il responsabile militare che ha dato l’ordine di colpire il museo del filosofo Hryhorij Savyč Skovoroda. Putin ha cercato deliberatamente di cancellare l’identità ucraina fin dal 2014, attraverso anche il saccheggio dei musei nei territori occupati, in particolare a Mariupol e Kherson i cui reperti sono stati portati in Russia. A Yalta è stato distrutto il museo della scrittrice Lesja Ukraïnka, e anche il sito Unesco in Crimea, un’antica acropoli greca, è stata completamente rovinata dai russi», spiega la scrittrice e traduttrice ucraina Yarina Grusha, coordinatrice di Slava Evropi, giornale di informazione europea in lingua ucraina de Linkiesta.
«L’Ucraina ha capito che la cultura è un soft power che non va sottovalutato, sia a livello esterno, per far conoscere la cultura del nostro paese, sia internamente. Non a caso nel 2023 in Ucraina sono state aperte almeno quaranta librerie, sintomo del bisogno impellente di creare spazi culturali dove incontrarsi, parlare discutere. Un aspetto che è stato vietato a noi ucraini durante la occupazione sovietica. Anche la produzione editoriale è aumentata del settantatré per cento. La cultura oggi viene esportata per raccontare al mondo la vera storia dell’Ucraina, smentendo le narrazioni imposte dalla Russia. Questa resistenza culturale è forse la parte meno raccontata del conflitto, anche se è fondamentale».
Sul palco di Bagni Misteriosi è intervenuta anche la politologa e saggista Sofia Ventura che ha evidenziato il modo in cui gli ucraini stanno descrivendo al resto del mondo la loro resistenza attraverso una narrazione emozionale che colpisce per frequenza, precisione e lucidità, nonostante le problematiche del conflitto. Non si combatte solo una guerra militare, ma anche una battaglia quotidiana culturale: «Nel 2014 l’Ucraina ha capito che essere un paese poco conosciuto è un prezzo troppo alto da pagare nel mondo mediatico di oggi. L’invasione della Crimea e del Donbas dieci anni fa sono stati presi con troppa superficialità dall’opinione pubblica occidentale anche perché l’Ucraina era un paese lontano e poco conosciuto. Era difficile collocare quanto accadeva in un sistema di significato per il cittadino occidentale. Ecco perché in questi anni, Kyjiv ha lavorato per consolidare la cosiddetta reputational security, facendo conoscere tutti quegli aspetti culturali che di solito vengono veicolati dagli altri paesi solo per obiettivi economici e turistici. Una risposta diretta al tentativo russo di negare l’esistenza dell’Ucraina come popolo e cultura».
Secondo Ventura, l’Ucraina ha avuto il merito di diffondere in maniera efficace un concetto: gli ucraini non sono un popolo russo, ma fortemente europeo ed europeista, determinato a difendere la propria identità, che guarda all’Ue come possibile futuro. E lo ha fatto utilizzando in maniera magistrale la comunicazione visuale, in particolare i video pubblicati nei social network attraverso messaggi emozionali, senza paura di far vedere a tutto il mondo la tragedia del conflitto. «Chi siamo, cosa siamo, cosa ci stanno facendo i russi, e la resilienza contro l’oppressione del Cremlino sono gli elementi fondamentali della narrazione ucraina che ha creato una vera epica attraverso immagini visivamente potenti, crude e immediate, che mostrano la tragedia della guerra, ma anche la resilienza del popolo ucraino. Ad esempio, fotografie di corpi mutilati, trasformati in sculture simili a statue greche, hanno reso visibile una risposta di resistenza creativa alla distruzione. Questo messaggio di resistenza è stato trasformato in arte: il dolore e la sofferenza sono diventati strumenti per dire: noi esistiamo».
Stefania Battistini, corrispondente della Rai e vincitrice del premio giornalistico Biagio Agnes per i suoi reportage nel conflitto tra Ucraina e Russia, ha raccontato la capacità degli ucraini di organizzarsi rapidamente subito dopo l’invasione: «In poche ore abbiamo visto città trasformarsi in trincee. Fin dai primi momenti la popolazione è scesa in strada, facendo lunghe code per armarsi. Ho ancora vivido il ricordo del discorso di Zelensky, l’ultimo in giacca e cravatta, quando disse ai cittadini: “Chi vuole combattere, si armi e scenda in strada”. Una scena incredibile: studenti, famiglie, uomini e donne uniti in una determinazione ferrea. In quei giorni ho capito che non si trattava di nazionalismo, ma di una legittima aspirazione alla libertà».
Una delle prime cose che Battistini ha appreso sul campo è come la lingua ucraina sia diventata un simbolo della resistenza. «Uno dei primi patch che mi hanno regalato i cittadini è “La lingua è un’arma”. Nonostante per anni fosse stata imposta la lingua russa come principale mezzo culturale, si è verificata una riscoperta dell’ucraino, anche se spesso parlato in modo imperfetto. Quello che Putin ha ottenuto, forse senza volerlo, è stato rafforzare l’unità di un popolo determinato a decidere del proprio destino», spiega Battistini.
La corrispondente della Rai, che è stata inserita dalla Russia nella lista dei ricercati assieme al collega operatore Simone Traiani ha raccontato al pubblico de Linkiesta di aver visto le conseguenze degli atroci crimini umanitari russi: donne violentate, villaggi devastati, fosse comuni. «In un piccolo villaggio, a pochi chilometri dal fronte, quattro donne sono state vittime di violenze; una fu risparmiata solo perché considerata troppo grassa. A Izjum, dopo la liberazione, abbiamo visto quattrocento cinquanta cadaveri ritrovati in fosse comuni, molti con segni di tortura, mani legate e mutilazioni. Questi orrori sembrano far parte di una strategia deliberata, con lo stupro utilizzato come arma di guerra. Alcuni rapporti delle Nazioni Unite parlano di soldati russi che arrivavano in Ucraina con il Viagra, un’ulteriore prova della sistematicità di queste atrocità». Un modo per indebolire moralmente la popolazione e spezzare le catene familiari con un chiaro intento genocidiario e di cancellazione dell’identità.
Lo stesso è stato fatto con il rapimento dei bambini. Prima sono stati presi i giovani più fragili, quelli presenti negli orfanotrofi dei territori occupati durante l’invasione. Ma non solo. «Ho incontrato famiglie che hanno raccontato di come i loro figli siano stati portati in Crimea con il pretesto di tenerli al sicuro. Una madre per esempio mandò tre dei suoi figli in un presunto campo estivo. Dopo qualche settimana, la figlia maggiore quattordicenne capì che non sarebbero più tornati. In quel campo venivano sottoposti a una russificazione forzata: obbligati a indossare nastri con i colori della bandiera russa, subivano punizioni per chiunque non si conformasse», spiega Battistini. «Molti genitori hanno fatto di tutto per riavere i propri figli. Alcuni sono riusciti a recuperarli grazie alla mediazione di organizzazioni internazionali, ma il senso di colpa delle madri per aver permesso che fossero portati via è straziante. Alcuni bambini raccontano di essere stati picchiati o sottoposti a isolamento, ma soprattutto emerge il tentativo di cancellare la loro identità, spezzando le radici culturali e familiari».
Nella fossa comune di Izjum è stato ritrovato il corpo dello scrittore ucraino Volodymyr Vakulenko, autore di letteratura per l’infanzia. Vakulenko è diventato un simbolo della resistenza culturale ucraina. Poco prima di essere rapito dai russi, aveva seppellito il suo diario nel cortile di casa. Dopo la liberazione di Izjum, il diario è stato ritrovato da un gruppo di ricercatori specializzati in crimini di guerra. Come spiega Grusha sul palco: la scrittrice e amica Viktoria Amelina, che ha dedicato la sua vita a raccontare la storia e a portare avanti la memoria del popolo ucraino, prima di essere uccisa a causa di un bombardamento russo, si era battuta per pubblicare il diario di Vakulenko, che è stato digitalizzato e reso accessibile a tutti. Nel marzo 2023, in occasione della Giornata Mondiale della Poesia, è stata inaugurata a Carpi una mostra in cui l’unico oggetto esposto era proprio questo diario digitalizzato.
Oggi, l’Ucraina sta facendo enormi sforzi per proteggere la propria cultura attraverso la digitalizzazione. Quadri, libri, documenti e altre opere d’arte vengono digitalizzati per preservarli, in modo che sopravvivano anche nel caso di ulteriori bombardamenti russi contro librerie, tipografie e depositi culturali. Non si tratta solo di conservare fisicamente il patrimonio culturale ucraino, ma tramandare la propria identità. I musei sono diventati simbolo di questa resistenza culturale. Molte opere d’arte sono state rimosse e trasferite in Europa per proteggerle dai bombardamenti.
«Visitando i musei di Kyjiv con alcuni colleghi, ingenuamente ci aspettavamo di trovare le collezioni esposte, ma abbiamo scoperto che molte sale erano vuote. Al loro posto, però, abbiamo trovato una nuova narrazione: una trasformazione artistica della guerra. Armi russe distrutte, elicotteri abbattuti e scarponi militari sono stati trasformati in opere d’arte, installazioni che raccontano la brutalità del conflitto e, al tempo stesso, la capacità creativa e inventiva del popolo ucraino», spiega Sofia Ventura.
«Nei musei, oltre agli oggetti della guerra, si trovano installazioni multimediali che offrono una prospettiva diversa sulla realtà, pensate sia per gli ucraini stessi sia per il pubblico internazionale. Una delle installazioni più toccanti è quella dedicata alla resistenza del Battaglione Azov a Mariupol, ospitata negli ultimi piani del Museo Nazionale di Storia dell’Ucraina. Questo lavoro è importante perché mostra l’eroismo di giovani uomini e donne che hanno dato la vita per difendere il loro Paese. È un antidoto alla disinformazione: in Italia, spesso, il Battaglione Azov è descritto come un gruppo di nazisti, ma questa narrazione non tiene conto della realtà sul campo, dove queste persone hanno combattuto per proteggere la loro patria».
«In Ucraina abbiamo assistito alla trasformazione di un intero popolo: informatici, meccanici, artisti, oggi costruiscono droni o guidano carri armati. Una incredibile mobilitazione di talenti che mostra la forza e la determinazione del Paese. Ma dopo oltre un anno e mezzo di guerra si avverte una stanchezza crescente, soprattutto con l’arrivo del terzo inverno. Proprio per questo è fondamentale far sentire la vicinanza e il sostegno», spiega Battistini secondo cui in Italia siamo immersi in una narrazione distorta e menzognera su ciò che accade in Ucraina, alimentata da anni di disinformazione strategica. «Raccontare la realtà ucraina significa sfidare questa falsità. La mia speranza è che, con il ripristino dei voli e un maggiore accesso alle zone più sicure dell’Ucraina occidentale, sempre più persone possano toccare con mano la realtà. Se vogliamo davvero comprendere questa guerra e sostenere l’Ucraina, dobbiamo ascoltare le loro voci, visitare i luoghi, incontrare le persone e abbandonare le narrazioni costruite a tavolino. La resistenza ucraina non è solo militare, è una resistenza culturale, umana, che merita di essere conosciuta e sostenuta».
Infine sul palco de Linkiesta, Grusha racconta il sacrificio di artisti, scrittori e intellettuali ucraini che hanno lasciato tutto per unirsi alla resistenza. Molti di loro ora combattono al fronte o in altre forme, come Kateryna Zarembo, autrice de “Il Donbas è Ucraina” (edito da Linkiesta Books) che da quest’estate è diventata una paramedico presso l’unità militare degli “Ospitalieri”.
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