Il lavoro nero continua a rappresentare un esteso problema in quei rapporti di lavoro che si svolgono entro le mura domestiche. Colf, badanti e baby sitter compongono infatti un bacino di lavoratori e lavoratrici, con cui non di rado un datore di lavoro scende a patti per aggirare le norme di legge, commettere irregolarità e non pagare i contributi.
Secondo il rapporto annuale dell’Osservatorio Domina, nel nostro Paese ci sono poco meno di 1,9 milioni di lavoratori domestici, ma quasi 900mila sono regolari. Un numero enorme e aumentato negli ultimi anni, contro il quale Assindatcolf – l’Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico – ha deciso di intervenire con un’iniziativa mirata.
Un incentivo fiscale, sotto forma di credito di imposta, potrebbe infatti sollecitare una significativa emersione del “nero”, dando una mano anche all’amplissima rete di collaboratori domestici, i cui diritti sarebbero altrimenti compromessi o cancellati. Scopriamo allora come funziona questo nuovo credito di imposta, ma cogliamo anche l’occasione per ricordare – in breve – quali sono i rischi che scaturiscono dalle irregolarità nel lavoro di colf, badanti e baby sitter.
Come funziona il credito d’imposta per l’assunzione colf, badanti e baby sitter
Negli ultimi anni, a fronte dell’aumento dell’inflazione, sono aumentati anche i costi per regolarizzare una colf o una badante. Troviamo oggi stipendi più alti (come previsto dal Ccnl di categoria) e maggiori contributi obbligatori per la previdenza Inps, senza dimenticare la tredicesima, i giorni di ferie, i permessi retribuiti o il Tfr.
Con la pressione del carovita, in molte famiglie la necessità di avere una collaboratrice o un collaboratore domestico è stata controbilanciata dalla volontà di risparmiare, alimentando il “nero”. Ora però, grazie all’accennata iniziativa Assindatcolf, un credito d’imposta al 50% – nuovo di zecca – si applicherebbe alle famiglie per sostenere almeno in parte la spesa per colf, badanti e baby sitter. Di fatto si tratterebbe di un dimezzamento dei costi.
Ricordiamo che, in linea generale, con le parole “credito d’imposta” si intende un’agevolazione fiscale che permette al contribuente di ridurre l’ammontare delle imposte dovute o, in alcuni casi, di conseguire un rimborso.
L’Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico ha stimato che il nuovo beneficio, oltre a portare a minori esborsi per le famiglie, favorirebbe la discesa del tasso di irregolarità nel settore. Quest’ultimo potrebbe infatti passare dal 54% attuale al 21%. Numeri alla mano, ciò potrebbe significare l’emersione – agli occhi del Fisco e dell’Inps – di circa 460mila lavoratori e lavoratrici in nero.
Lavoro nero in ambito domestico, gli attuali costi per lo Stato
Nel Rapporto annuale si può leggere che, in ambito domestico, il lavoro sommerso oggi grava sulle casse dello Stato per circa 2,4 miliardi di euro l’anno, una notevolissima cifra che è la somma del mancato gettito contributivo (1,5 miliardi) e dell’evasione Irpef (904 milioni).
Grazie al lancio del credito di imposta al 50%, la cifra potrebbe però calare a 959 milioni (361 mln di evasione Irpef e 598 di evasione contributiva) – sottolinea il Rapporto Assindatcolf. A conti fatti, lo Stato potrebbe recuperare circa 1,4 miliardi euro di sommerso. E non è poco.
Un esempio pratico del risparmio per le famiglie
Agli indubbi vantaggi per lo Stato si accompagnerebbero – lo ribadiamo – anche quelli per le famiglie. Per chiarire la portata della novità, nel Rapporto è fatto un esempio tanto emblematico quanto comune, vale a dire quello dell’assunzione di una badante a tempo pieno in regime di convivenza, per persona non autosufficiente (inquadrata a livello CS e retribuita secondo gli importi minimi sindacali aggiornati al 2024).
Per potersi avere un’assistenza di questo tipo (non per forza h24), una famiglia oggi deve mettere in budget un costo annuo pari a circa 16.300 euro, inclusivo di tutti gli importi in contratto (stipendio, ferie, tredicesima e Tfr). Non solo. A questo ammontare si deve poi sommare il costo dei versamenti contributivi, in un anno pari a circa 2.550 euro, per un totale di ben 18.850 euro.
Per valutare dettagliatamente l’impatto della novità, nel Rapporto sono state formulate tre diverse ipotesi con distinte aliquote di credito di imposta. Il testo indica cioè più situazioni e, infatti, nella previsione di un’applicazione dell’incentivo fiscale configurato nell’ipotesi del:
- 30%, si avrebbe uno sconto sul costo complessivo di circa 5.655 euro l’anno;
- 40%, lo sconto sarebbe di circa 7.540 euro;
- 50%, il risparmio si aggirerebbe sui 9.425 euro circa.
Insomma, un risparmio di svariate migliaia di euro che farebbe “respirare” i bilanci annuali delle famiglie, ma che, al contempo, darebbe una grossa mano allo Stato, il quale – a sua volta – potrebbe contare su maggiori entrate, derivanti da contributi e tasse sul reddito. Ricapitolando, a fronte di un investimento iniziale, l’Erario avrebbe oggettivi vantaggi sia in termini di emersione di lavoro irregolare, che di creazione di nuova occupazione.
Stop alla deduzione contributiva colf e badanti
In base a quanto indicato da Assindatcolf nel suo Rapporto annuale, il nuovo beneficio dovrebbe inoltre essere accompagnato dalla cancellazione dell’attuale deduzione contributiva per lavoro domestico, corrispondente ad un massimo di 1.549,37 euro l’anno e dal raddoppio degli oneri di contribuzione.
Tenuto conto delle simulazioni di cui nel Rapporto, il credito di imposta avrebbe un costo per lo Stato di 2,7 miliardi di euro nell’ipotesi del 30%, di 4,8 miliardi nell’ipotesi del 40% e di 7,8 miliardi nell’ipotesi che qui specificamente interessa, ossia quella del 50% – a cui Assindatcolf punta maggiormente.
Considerando gli effetti diretti, il Rapporto ribadisce più volte che la misura potrebbe produrre – oltre che una nuova domanda di occupazione nel settore – anche una significativa emersione del lavoro irregolare – si ipotizza del 60%. E il mix di questi due elementi farebbe scendere il costo totale per le casse pubbliche a 3,3 miliardi.
Non solo. L’indagine Assindatcolf indica anche gli effetti indiretti dell’iniziativa, evidenziando la possibilità di maggiori consumi per le famiglie italiane, per l’impatto positivo della misura sul bilancio domestico. Senza dimenticare il gettito contributivo e fiscale, derivante dalla potenziale nuova occupazione dei caregiver familiari in altri lavori. L’associazione stima che, ogni cento assistenti familiari, trenta datori siano caregiver. Si creerebbe così una sorta di “circolo virtuoso” di cui beneficerebbero – al contempo – famiglie, colf e badanti, Stato e mondo del lavoro.
Gli incentivi attuali sono insufficienti
Oggi nel nostro paese un datore di lavoro domestico ha diritto a circoscritti e insufficienti incentivi fiscali. Non basta infatti la deducibilità dei contributi pagati per la propria colf, badante o baby-sitter, perché opera entro il limite massimo di 1.549,37 euro ogni anno. Ed esclusivamente nell’ipotesi di una badante contrattualizzata per supportare una persona non autosufficiente – con reddito al di sotto dei 40 mila euro – scatta una limitata agevolazione sulla cifra che si è sborsata per pagare lo stipendio – per un massimo di 399 euro l’anno.
Come ha precisato il Presidente Assindatcolf, se è vero che l’obiettivo dell’associazione è sempre stato quello della deduzione piena delle spese per colf e badanti, nei tempi odierni – al fine di arginare il problema del lavoro nero nel settore – si rivela più congeniale l’introduzione del credito di imposta, un incentivo in grado di raggiungere una platea più ampia della deducibilità ed in modo più equo.
Cosa si rischia con il lavoro nero colf e badanti
La questione del lavoro nero nel settore domestico è assai complessa perché gli ambienti di lavoro – le private abitazioni – rendono difficili sia i controlli da parte degli ispettori Inps che le sanzioni, incrementando il pericolo di irregolarità. Come detto, per le famiglie le difficoltà economiche e la mancanza di incentivi adeguati, frequentemente sollecitano alla scelta di non regolarizzare i rapporti di lavoro. Il “sommerso” è una piaga per le casse pubbliche ma anche e soprattutto per i lavoratori – esposti a situazioni precarie e senza tutele – come pure per i datori di lavoro, che non possono accedere a detrazioni fiscali e ad altre agevolazioni previste per i rapporti contrattualizzati.
In particolare gli ispettori Inps, per motivi legati alla privacy, non possono compiere verifiche all’interno delle abitazioni private, a meno che non ci sia una denuncia ossia una contestazione da parte del lavoratore o del datore di lavoro. Il rischio concreto è che la situazione irregolare possa continuare per anni senza essere scoperta.
Ricordiamo che il datore di lavoro deve comunicare l’assunzione all’Inps, come pure l’eventuale trasformazione o cessazione del rapporto di lavoro. Se non lo fa, si espone ad una salata sanzione amministrativa pecuniaria. Analoga conseguenza si verifica se la colf o badante non viene iscritta all’Inps o se non si pagano i contributi previdenziali.
Il datore di lavoro domestico non compie invece le trattenute fiscali sulla retribuzione, non essendo sostituto d’imposta. Sarà quindi obbligo della colf o badante occuparsi di presentare il modello 730 o il modello Unico per il versamento dell’Irpef e delle addizionali comunali e regionali.
Per approfondimenti sui rischi per la famiglia, derivanti dal lavoro nero, rinviamo comunque alla nostra guida.
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