Dall’ottobre 2023 gli Houthi, sostenuti da Teheran, hanno trasformato il Mar Rosso in un teatro di confronto geopolitico, utilizzando droni e missili avanzati per attaccare navi mercantili e militari. Ecco cosa emerge dal rapporto “The Cost of Inaction in Yemen” dell’Institute for the Study of War. L’analisi di Francis Walsingham
La crisi in corso nel Mar Rosso, alimentata dall’espansione militare degli Houthi, ha rivelato la fragilità di una delle rotte commerciali più importanti del mondo. Il canale di Suez, pilastro del commercio globale, è ora al centro di tensioni che stanno mettendo in discussione la sicurezza delle catene di approvvigionamento internazionali.
Gli Houthi, sostenuti da Teheran, dall’ottobre 2023 hanno trasformato il Mar Rosso in un teatro di confronto geopolitico, utilizzando droni e missili avanzati per attaccare navi mercantili e militari. Il supporto iraniano, secondo il rapporto “The Cost of Inaction in Yemen” dell’Institute for the Study of War, ha permesso loro di sviluppare capacità militari che rappresentano una minaccia strategica non solo per la regione, ma per il commercio globale. Gli attacchi, iniziati nell’ottobre 2023, hanno già provocato un aumento dei costi di trasporto e una riduzione della competitività economica di molti paesi, inclusa l’Italia.
L’ANALISI DELL’INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR
Gli Houthi non sono stati scoraggiati dagli attacchi non risolutivi di USA, UK e Israele, e tantomeno dall’antimissile delle navi italiane e tedesche. Anzi, in questo anno hanno raccolto informazioni significative sulle difese statunitensi contro i loro sistemi d’attacco di ogni tipo. È altamente probabile che ne approfitteranno per sfruttare queste conoscenze per migliorare l’efficacia dei loro attacchi e condividerle con altri avversari dell’Occidente, a cominciare da Iran e Russia, che le potranno utilizzare per migliorare l’efficacia dei loro attacchi contro navi e installazioni militari statunitensi in futuro. Il fallimento degli Stati Uniti e dei loro alleati nel contrastare o scoraggiare l’escalation degli Houthi nel Mar Rosso ha inoltre costretto la Difesa americana a dare priorità a questa regione rispetto al Pacifico occidentale. Questa priorità accordata al Medio Oriente in questo modo non è sostenibile per gli USA, specialmente in caso di uno scenario di crisi nello stretto di Taiwan in caso di attacco – diretto o indiretto – da parte della Cina. Consentire agli Houthi di continuare la loro graduale campagna di escalation rappresenta, nel lungo termine, una scelta politica molto più pericolosa per gli Stati Uniti rispetto a un intervento militare più deciso.
La lezione che gli Houthi stanno apprendendo in questa guerra è che possono lanciare missili e droni contro navi da guerra e private di ogni Paese (ma non certo russe o cinesi), bloccando il commercio globale, subendo solo conseguenze limitate e inadeguate. Gli Stati Uniti e l’Occidente in generale sembrano non aver compreso – afferma l’ISW – che la strategia di “gestione dell’escalation”, simile a quella adottata in Ucraina, incoraggia l’escalation e prolunga i conflitti, un problema particolarmente serio quando è necessario concentrare l’attenzione su altri teatri critici.
MAR ROSSO: UNA CRISI GLOBALE CON RIPERCUSSIONI PROFONDE
L’impatto del conflitto si estende ben oltre il Medio Oriente. La riduzione complessiva del traffico marittimo mondiale, stimata all’1,3% dal Kiel Institute for the World Economy, sta creando interruzioni significative nelle catene di approvvigionamento globali. Il costo del trasporto su rotte chiave, come quella tra Shanghai e il Mediterraneo, è aumentato drasticamente, e i ritardi nelle consegne stanno gravando su settori strategici come l’automotive, l’elettronica e l’agroalimentare.
In questo contesto, il Mar Rosso è diventato una vulnerabilità critica per l’economia globale, con effetti a catena che incidono sulla stabilità economica e geopolitica. Gli Houthi, inoltre, stanno usando i dati raccolti durante i loro attacchi per affinare le loro capacità, aumentando la portata della minaccia per il futuro per le nazioni occidentali e non solo.
L’IMPATTO SULL’ECONOMIA ITALIANA
L’Italia, strettamente legata al canale di Suez per il commercio estero, sta subendo i colpi più duri. I flussi commerciali attraverso Suez rappresentano il 42,7% del traffico marittimo del paese e l’11,9% del totale delle esportazioni e importazioni. La crisi ha già causato danni economici per 8,8 miliardi di euro nei primi tre mesi, con settori chiave come l’agroalimentare, la moda e la meccanica particolarmente colpiti. La dipendenza delle piccole e medie imprese italiane da queste rotte aggrava ulteriormente la vulnerabilità del sistema economico nazionale.
Oltre ai costi diretti, l’aumento del prezzo dei container marittimi – cresciuto del 350% in pochi mesi secondo JP Morgan – rappresenta un peso significativo per le imprese italiane. Questo scenario non solo riduce la competitività del made in Italy, ma mette a rischio la sostenibilità economica di molte aziende, in particolare quelle orientate all’export.
PERCHÉ LE NAVI ITALIANE, E NON SOLO, NEL MAR ROSSO SONO ESSENZIALI
Spesso si sente chiedere: “Che ci fanno le nostre navi da guerra in Medio Oriente?”. È un interrogativo che rischia di banalizzare la realtà. Proteggere le rotte commerciali come quella del Mar Rosso non è una scelta ideologica, ma una necessità economica. Senza un’adeguata presenza navale e alleanza con partner internazionali, l’Italia rischierebbe di vedere interrotte le forniture di beni strategici e di subire danni enormi al proprio sistema produttivo.
Tenere aperte le vie commerciali significa salvaguardare non solo l’economia, ma anche il benessere quotidiano degli italiani. Ogni interruzione nelle catene di approvvigionamento si traduce in costi maggiori per le imprese e, inevitabilmente, per i consumatori. Non intervenire significherebbe accettare una progressiva marginalizzazione economica e geopolitica.
MAGGIORI ESIGENZE DI DIFESA: COSTI E SACRIFICI
La difesa delle rotte strategiche comporta inevitabilmente un aumento delle spese militari. La crisi nel Mar Rosso, così come le nuove esigenze di sicurezza emerse dall’aggressività russa in Europa, impone all’Italia un ripensamento strategico delle proprie forze armate. Si prospettano sacrifici economici, ma anche un dibattito cruciale sul ruolo del paese nello scenario internazionale.
Un’Italia neutrale, come ipotizzato da alcuni, non sarebbe una soluzione sostenibile. Una posizione neutrale significherebbe maggiore isolamento, maggiore vulnerabilità e una dipendenza dalle scelte di nazioni più potenti. L’alternativa a questo isolamento sarebbe dotarsi di una difesa nazionale estremamente robusta, sul modello svizzero: un Paese che, pur essendo neutrale, dispone di una forza armata tecnologicamente avanzata, tra cui caccia F-35, carri armati Leopard e difese aeree a base di missili Patriot.
LE RISPOSTE DELL’ITALIA: TRA AZIONI MILITARI E INIZIATIVE STRATEGICHE
Dal punto di vista militare, l’Italia ha partecipato alla missione europea Aspides, volta a garantire la sicurezza delle rotte commerciali e la libertà di navigazione nel Mar Rosso. Tuttavia, l’impatto di queste operazioni, pur importante, resta limitato. La protezione delle navi mercantili e il monitoraggio dell’area rappresentano solo una parte della soluzione.
A livello strategico, il governo italiano sta cercando di rafforzare il dialogo con i partner internazionali per prevenire ulteriori escalation e proteggere il sistema produttivo nazionale. La presidenza italiana del G7 ha avviato la promozione di azioni coordinate volte a migliorare la resilienza delle catene di approvvigionamento e a garantire investimenti in infrastrutture portuali e logistiche, ma siamo solo gli albori di una reale collaborazione almeno europea. Nel frattempo le nostre aziende perdono miliardi e le nostre navi sono sempre più a rischio a causa di mancati interventi risolutori nei confronti degli Houthi.
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