Al termine dell’inchiesta e grazie al sostegno della Flai Cgil Veneto che ha seguito il loro caso, tredici lavoratori hanno ottenuto il permesso di soggiorno ai sensi della legge 199/2016 per aver denunciato il loro caporale. Venivano impiegati nelle campagne del trevigiano per oltre dodici ore al giorno e rinchiusi in un casolare fatiscente per evitare di scappare
Per tredici braccianti indiani sfruttati nel nord Italia è stata fatta giustizia. Dopo mesi di schiavitù nelle campagne del trevigiano, dove erano approdati dopo aver pagato decine di migliaia di euro ad alcuni intermediari, hanno deciso di denunciare il proprio caporale. Ora, al termine dell’inchiesta e grazie al sostegno della Flai Cgil Veneto che ha seguito il loro caso, hanno ottenuto il permesso di soggiorno. Se da una parte la legge 199 del 2016 disciplina il contrasto al fenomeno del caporalato, il decreto del governo approvato il 14 ottobre ha aggiunto un altro tassello e prevede che chi denuncia possa ottenere, qualora venga riconosciuta la propria condizione di sfruttamento in base alla legge 199/2016, un permesso di soggiorno speciale di sei mesi prorogabile di oltre un anno.
«Il riconoscimento del permesso di soggiorno consentirà loro di entrare finalmente nel mercato del lavoro regolare e di uscire dal cono d’ombra che li ha resi invisibili nelle nostre campagne e all’opinione pubblica. Finalmente si chiude un capitolo tristemente oscuro di questa di questa vicenda», dice Giosuè Mattei, segretario generale della Flai Cgil Veneto a Domani. «Quella condizione di sfruttamento è un ricordo ancora vivido nella memoria di questi ragazzi, ma rappresenta il passato perché oggi vivono in una situazione alloggiativa dignitosa e protetta», conclude il segretario.
«Finalmente possiamo sapere come si può lavorare legalmente e dignitosamente dopo aver lavorato per tanto tempo in nero, senza documenti e sfruttati», dicono i braccianti dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno.
La vicenda
La denuncia è partita la scorsa primavera quando il sindacato ha raccolto la storia di oltre cinquanta persone che vivevano ammassate in un casolare abbandonato a Ponte di Piave (Tv) in condizioni igienico-sanitarie a dir poco precarie. Non avevano accesso ad acqua, luce e gas. Venivano impiegati nei campi di lavoro per oltre dodici ore al giorno – dalle 5 del mattino alle 19 di sera – senza essere retribuiti.
Ai braccianti, infatti, non solo erano stati chiesti soldi per arrivare in Italia, ma sono stati estorti cinquemila euro a testa con la falsa promessa di ottenere il permesso di soggiorno. In questa maniera venivano impiegati nei campi, ma senza ricevere compensi fino a quando non avrebbero saldato il proprio debito con il caporale.
La paga promessa era a cottimo, con 5-6 euro per ogni cassone da tre quintali che riuscivano a riempire con frutta e verdura. Al termine delle giornate di lavoro, venivano rinchiusi nel casolare per evitare che scappassero di notte, con porte sprangate e finestre con delle inferriate. Chi si ammalava veniva cacciato nel bel mezzo della notte. Chi provava a protestare, invece, subiva minacce e ritorsioni.
Dopo mesi di violenze e sfruttamento alcuni dei braccianti hanno trovato il coraggio di denunciare le loro condizioni alla Flai Cgil, che ha raccolto prove e materiale presentando un esposto in procura. Le indagini delle forze dell’ordine hanno portato all’incriminazione di un caporale pakistano e di quattro suoi sodali. Il caporale è attualmente ricercato e secondo fonti investigative avrebbe già lasciato l’Italia.
Il decreto flussi
Il caso dei 13 braccianti non è un unicum. Solo nel Veneto si stima che lo sfruttamento lavorativo riguardi almeno 5.500 lavoratori impiegati nelle campagne. Alcuni di loro arrivano in Italia attraverso i nulla osta lavorativi, ma appena entrano nel paese vengono inseriti dai caporali e dai loro intermediari in una rete di lavoro irregolare facendo perdere le loro tracce.
Un sistema collaudato che fa leva su vuoti normativi e mancati controlli, come Domani ha già raccontato in un precedente articolo. Anche per questo motivo, infatti, il governo ha dovuto mettere mano al Decreto flussi, l’unico atto normativo con cui ogni anno si prevede il numero di cittadini stranieri che possono fare ingresso in Italia per svolgere attività di lavoro, ma secondo i sindacati non è ancora sufficiente.
«Le recenti modifiche al Decreto flussi sono una “foglia di fico” e non risolvono nessuno dei problemi che stiamo affrontando come organizzazione sindacale: meno del 20 per cento delle richieste di manodopera e i successivi nulla osta per lavoro stagionale si traducono in un rapporto di lavoro effettivo. Abbiamo migliaia di lavoratori entrati nel nostro paese regolarmente, con un visto e un nulla osta, che sono diventati irregolari a causa di queste leggi», dice Mattei.
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