Dal disegno di legge di Bilancio 2025 che ha avviato il proprio
iter parlamentare emerge che il perno dell’intervento normativo sarà l’introduzione di un nuovo art. 16-
ter al
TUIR, con il quale viene fissato un limite massimo all’ammontare delle detrazioni fiscali di cui i contribuenti che dichiarano un reddito superiore a 75.000 euro possono fruire in ciascuna annualità. La nuova misura, per quanto possa consentire di recuperare significative quote di gettito, è criticabile sotto vari profili: la lesione dell’affidamento dei contribuenti, l’ennesimo inasprimento del prelievo sui pochissimi che già si fanno carico in larga parte delle spese della collettività, l’incapacità di fare fronte alla patologica complessità di un “sistema” sempre più ingovernabile. Eppure, una soluzione ci sarebbe: fare proprio il modello di flat tax
suggerito dalla delega alla riforma fiscale. Evidentemente, anche in questo caso non si è saputo resistere alla tentazione di considerare il tributo come prioritario strumento di redistribuzione della ricchezza.
(ii) confermando la
maggiore detrazione (da 1880 a 1955 euro) per i
redditi di lavoro dipendente, anch’essa prevista in origine per il solo 2024 dall’
art. 1, comma 1,
D.Lgs. n. 216 del 2023 [nuovo
art. 13, comma 1, lettera a), del
TUIR];
(iii) introducendo un nuovo “bonus” fiscale, riservato ai lavoratori dipendenti con reddito complessivo inferiore a 20.000 euro, consistente in una somma (che non concorre a sua volta a formare il reddito) erogata in busta paga dal datore di lavoro (art. 2, comma 3, del Ddl);
(iv) introducendo una nuova detrazione fiscale, riservata ai lavoratori dipendenti con reddito compreso tra 20.000 e 40.000 euro, il cui ammontare varia in funzione del reddito stesso (art. 2, comma 5, del Ddl);
(v) fissando un limite massimo all’
ammontare di detrazioni fiscali di cui i contribuenti che dichiarano un
reddito superiore a 75.000 euro possono fruire in ciascun periodo d’imposta [nuovo art. 16-ter del
TUIR];
(vi) riducendo al 30% l’aliquota del c.d. “
bonus casa” di cui all’
art. 16-bis del
TUIR sin dalle spese sostenute a decorrere dal 2025 (la minore aliquota si sarebbe dovuta applicare solo dal 2028, cfr.
art. 9-bis, comma 8, del
D.L. n. 39/2024) e introducendo un “regime transitorio”, in forza del quale verrebbero mantenuti gli innalzamenti di aliquota (rispetto al 30%, previsto a regime) e di massimale (rispetto ai 48.000 euro, previsti a regime), graduandoli tuttavia al ribasso in base all’anno di sostenimento della spesa (2025, 2026 o 2027) e alla tipologia di immobile oggetto dell’intervento (abitazione principale o meno);
vii) prevedendo infine la proroga (sino al 2027) del c.d.
ecobonus (
art. 14 del
D.L. n. 63/2013) e del c.d.
sismabonus (art. 16, commi da 1-
bis a 1-
septies, del
D.L. n. 63/2013), entrambi in scadenza al 31 dicembre 2024, con l’avvertenza che i massimali agevolati e le aliquote applicabili verranno allineati a quelli previsti in via transitoria per il “bonus casa” ordinario e, quindi, subiranno una drastica riduzione rispetto alle attuali misure.
Dalle modifiche di cui si è data rapida sintesi emerge in modo nitido che, al di là delle disposizioni di dettaglio e della “messa a sistema” di risultati già acquisiti (
nuova struttura degli
scaglioni IRPEF e
maggiore detrazione per i
redditi da lavoro dipendente), il perno dell’intervento normativo va ravvisato nel nuovo art. 16-ter
del
TUIR, con il quale, lo si è anticipato, viene fissato un limite massimo delle detrazioni di cui i contribuenti che dichiarano un
reddito superiore a 75.000 euro possono fruire. In base alla
nuova disposizione, coloro che possiedono un reddito superiore all’anzidetta soglia, ma inferiore a 100.000 euro, potranno portare a scomputo dell’imposta lorda dovuta al massimo 14.000 euro, mentre per i contribuenti che
superano i 100.000 euro di reddito l’importo massimo detraibile ammonterà a 8.000 euro. In entrambi i casi, il tetto massimo subisce una riduzione (che può andare dal 15 al 50%) laddove il contribuente non abbia fiscalmente a carico almeno due figli oppure un figlio con disabilità accertata. La limitazione in parola
non si applicherà alle
spese sanitarie detraibili ai sensi dell’
art. 15, comma 1, lettera c), del
TUIR
Si è ritenuta quindi
impraticabile la
diversa via del
riordino delle
detrazioni, che avrebbe imposto una valutazione “chirurgica” di ciascuna agevolazione per decidere in merito al suo mantenimento/rafforzamento/eliminazione. In una società tutt’altro che coesa, tale diversa opzione avrebbe generato vibranti polemiche e strenue resistenze da parte dei gruppi di interesse di volta in volta toccati dalle scelte della politica. Meglio, dunque, si è evidentemente pensato, proseguire sulla strada già tracciata dall’
art. 2 del
D.Lgs. n. 216/2023, laddove si era prevista una decurtazione di 260 euro sull’ammontare delle detrazioni per oneri e liberalità altrimenti spettanti ai contribuenti con un reddito superiore a 50.000 euro, e, ancor prima, dall’
art. 15, comma 3-
bis, del
TUIR, introdotto dalla legge di Bilancio per il 2020 (
art. 1, comma 629, della
legge n. 160/2019), il quale stabilisce che le detrazioni per oneri di cui al medesimo
art. 15 TUIR siano progressivamente ridotte per i contribuenti con un reddito superiore a 120.000 euro (con azzeramento del beneficio spettante se il reddito eccede i 240.000 euro).
Si tratta di scelta che, per quanto consenta significativi recuperi di gettito (è il caso di ricordare che, secondo i dati riportati nel recente studio “Le dichiarazioni dei redditi 2022: l’analisi IRPEF e delle altre imposte dirette e indirette per importi, tipologia dei contribuenti e territori negli ultimi 15 anni” di Itinerari Previdenziali, riferiti al periodo d’imposta 2022, alle detrazioni va imputata una riduzione del gettito IRPEF di circa 80 miliardi di euro, a fronte di un gettito netto di circa 170 miliardi di euro), suscita più di una qualche perplessità, per le ragioni che qui di seguito si espongono.
La prima. Per quanto il comma 5-
bis, secondo periodo, del nuovo art. 16-ter
del
TUIR preveda che vadano escluse dal computo (e quindi dalla limitazione) (i) le detrazioni riferibili agli
interessi su mutui/prestiti agrari o volti all’
acquisto/costruzione dell’
abitazione principale [
art. 15, commi 1, lettere a) e b), e 1-
ter, del
TUIR] stipulati fino al 31 dicembre 2024 e (ii) le
rate residue di detrazioni riferite a spese sostenute entro la medesima data, resterebbe comunque pregiudicato l’affidamento di coloro che, nella prospettiva di poter fruire degli sconti fiscali anche sulle spese sostenute oltre al 31 dicembre 2024, si fossero determinati, per esempio, ad avviare un intervento edilizio che, in assenza dell’agevolazione, non avrebbero invece avuto la possibilità/l’interesse di realizzare. È vero, si potrebbe rimediare al problema anticipando il sostenimento della spesa agli ultimi giorni dell’anno successivi all’approvazione della legge di bilancio (si tratterebbe comunque di un rischio, perché bisognerebbe pagare prima lavori non ancora realizzati), ma è del pari indubitabile che, in questa prospettiva, risulterebbero discriminati coloro che non hanno a disposizione le risorse per anticipare i pagamenti.
La seconda. Come emerge dal già citato studio di Itinerari previdenziali, i contribuenti che dichiarano redditi superiori a 55.000 euro, si tratta appena del 4,85% del totale, pagano il 41,7% dell’intera IRPEF (il dato è ancora più clamoroso se si considera che su coloro che dichiarano redditi superiori a 100.000 euro, l’1,56% dei contribuenti, grava il 23,59% dell’intera IRPEF). Il taglio orizzontale sulle detrazioni finisce quindi per danneggiare proprio coloro che, più dichiarando, danno un decisivo contributo al mantenimento del welfare state (di cui fruisce l’intera collettività, anche i circa 26,5 milioni di cittadini residenti che non pagano nemmeno un euro di IRPEF). Detto in altri termini, con il nuovo art. 16-ter si inasprisce il peso del prelievo su chi, in un contesto di elevata evasione fiscale che i citati dati documentano impietosamente, già paga moltissimo.
La terza. Il taglio
orizzontale delle detrazioni fiscali non incide in alcun modo sul
numero delle
tax expenditures (la Commissione per le Spese fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze ne ha catalogate, proprio in relazione all’IRPEF, oltre 200). Con la misura qui in commento, dunque, non solo non si risolve il problema dell’estrema complessità dell’imposta, ma, a ben vedere, lo si peggiora, perché si introduce un’ulteriore disposizione, composta da 6 commi e quasi 500 parole, che non mancherà di creare ulteriori difficoltà, dubbi, incertezze. Il tutto
in contraddizione con uno dei
principali obiettivi della
riforma fiscale, quello della
razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario [
art. 2, comma 1, lettera d), della
legge n. 111/2023].
La quarta. Non può sfuggire, infine, che il
taglio orizzontale praticato tenendo ferme tutte le detrazioni già esistenti (per fortuna, verrebbe da dire, visto che tutti i partiti hanno dato, incredibilmente, la loro approvazione nello scorso mese di luglio a un Ddl, in seno alla X Commissione del Senato, Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale, in cui si prevede che tutte le spese per l’esercizio dello sport, da intendersi come farmaco naturale, debbano essere detraibili)
non è coerente rispetto al
modello di imposta sul reddito fatto proprio dalla legge delega di riforma fiscale, quello della
flat tax [
art. 5, comma 1, lettera a), della
legge n. 111/2023]. E invero, la realizzazione dell’imposta ad aliquota unica richiede, come dimostrato da ultimo dagli studi di Dario Stevanato (2016), dell’Istituto Bruno Leoni (2017) e di Nicola Rossi (2018), l’eliminazione della quasi totalità delle deduzioni/detrazioni fiscali: solo in tal modo è possibile ampliare le basi imponibili da assoggettare alla più contenuta aliquota unica. Si giungerebbe in tal modo alla radicale semplificazione del tributo sul reddito delle persone fisiche, che resterebbe, in ragione della presenza di una
cospicua no tax area e in forza della conferma o del potenziamento delle più importanti deduzioni-detrazioni, comunque progressivo, così mantenendo il sistema in linea con l’
art. 53, comma 2, Cost.
Ben difficile risulta raggiungere risultati in qualche modo paragonabili in termini di semplificazione se si preserva, invece, la tradizionale impostazione dell’IRPEF, imposta le cui aliquote vengono mitigate da una congerie variegata e disorganica di detrazioni.
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Eppure, quando si parla di detrazioni, tutti sono d’accordo nell’affermare che esse andrebbero drasticamente ridotte perché: (i) nascono come elargizione che la maggioranza di governo concede a questo o a quel gruppo di interesse allo scopo di massimizzare il consenso; (ii) sono rigide, nel senso che, una volta concesse, è molto difficile toglierle di mezzo; (iii) non sono per nulla trasparenti, sia perché è difficile prevederne i costi e gli effetti (anche in termini di riduzione dell’evasione, per quelle introdotte allo scopo di generare il c.d. conflitto di interessi), sia perché finiscono alla lunga per non essere più considerate per quelle che sono, dei veri e propri sussidi; (iv) incrementano in modo esponenziale la complessità dell’ordinamento, che diventa fatalmente casistico ed enumerativo e, quindi, sempre meno “sistema”; (v) generano ingenti costi amministrativi (controllo della regolarità della condotta dei contribuenti) e incrementano il tasso di litigiosità del sistema.
Poi, però, malgrado tali diffuse consapevolezze, prevalgono sempre, anche questa volta, altre esigenze, che, quand’anche generate dalla difficile contingenza, risultano comunque culturalmente ispirate a modelli di prelievo che muovono dall’idea secondo la quale il compito dello Stato impositore debba prioritariamente essere quello di realizzare la giustizia, una giustizia millimetrica, redistribuendo la ricchezza da un gruppo sociale all’altro e quindi favorendo, di volta in volta, chi frequenta le palestre, chi ha un animale domestico a cui vuole tanto bene, chi arreda il suo balcone con piante e fiori, e così via, potenzialmente all’infinito.
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